Matteo Renzi ha dato 90 giorni al Governo; in una conversazione con Il Foglio ha fissato la scadenza a settembre quando si terranno le elezioni regionali. In realtà, l’esecutivo potrebbe esaurirsi anche prima, e non dipende dall’esito del voto, ma dalle contraddizioni interne e da come andrà quella che è stata chiamata la manovra di luglio.



Metà dei 20 miliardi che rappresentano il “tetto massimo” stabilito dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri è già prenotata, informa Il Sole 24 Ore: andrà al rinnovo della cassa integrazione e agli enti locali. La lista di richieste in realtà si sta gonfiando ed è probabile che salti quell’equilibrio salomonico tra spesa assistenziale e investimenti pubblici. Oppure che i 20 miliardi salgano fino a 30, facendo saltare anche gli equilibri generali di un bilancio pubblico sotto stress. Ci sono forti pressioni affinché ciò avvenga e affiorano tensioni anche tra Giuseppe Conte e Gualtieri messo sotto pressione dai partiti anche per le prossime nomine nelle aziende pubbliche (tra le altre Consip, Trenitalia, l’Agcom e la nuova Alitalia) e per la sua intenzione di rafforzare il ruolo del Tesoro all’interno di quelle in cui detiene pacchetti azionari importanti, riducendo così la presa dei partiti e, almeno nelle intenzioni, la lottizzazione. Dunque, c’è allarme rosso nel quadrilatero tra palazzo Sella, la sede del Mef, palazzo Chigi, Montecitorio e palazzo Madama. Tutto ciò rende ancor più difficile la gestione di un ciclo economico che sembra sfuggire di mano.



Il Fondo monetario internazionale ha peggiorato le previsioni per l’Italia: il prodotto lordo potrebbe scendere quest’anno del 12,8% più di quanto stimato dalla Banca d’Italia nel suo scenario peggiore. Nel 2021 verrebbe recuperato meno della metà di quel che si perde quest’anno. Secondo Gualtieri, i ragazzi di Washington hanno esagerato. Ma il ministro non riesce a convincere del contrario non solo la generica opinione pubblica, ma le imprese, i consumatori, i risparmiatori, insomma i soggetti attivi che producono il Pil. Gli economisti direbbero che non è in grado di mutare le aspettative.



Perché? Uno dei motivi è che il Governo continua a ragionare attorno a interventi dal lato della domanda. La priorità è garantire i posti di lavoro attuali e sostenere i consumi. Due obiettivi più che legittimi, ma a questo punto gli strumenti per raggiungerli andrebbero cambiati. Il momento di interventi dal lato della domanda sta finendo, adesso bisogna operare dal lato dell’offerta.

Certo, se la gente non compera non si vede perché le imprese dovrebbero produrre. Quindi è ovvio che bisogna tutelare il potere d’acquisto, tuttavia non si tratta di tirare il freno o stringere i cordoni della borsa, ma di cambiare le priorità, mettendo al primo posto il sostegno agli investimenti, facendo partire finalmente quelli pubblici e incentivando quelli privati. La pandemia ha fatto emergere la necessità di un nuovo salto tecnologico e di una ristrutturazione che va sostenuta e favorita, altrimenti le imprese italiane, nella manifattura e nei servizi, perderanno il treno. E, una volta ripartiti i consumi, i prodotti importati spiazzeranno quelli nazionali, mentre le esportazioni che negli anni scorsi hanno tenuto a galla il Paese, non saranno più in grado di fare da locomotiva. Invece, non sembra che misure come Industria 4.0 siano il centro della politica economica governativa. Lo stesso si può dire della politica fiscale. Si discute se ridurre l’Iva per favorire i consumi. Ma sarebbe più efficace intervenire sui redditi da lavoro e da impresa, sull’Irpef, sull’Ires, con interventi strutturali, con tagli permanenti sia pur progressivi viste le risorse a disposizione.

La coperta è corta, non c’è dubbio; quindi tornerà al centro del quadrilatero del potere la questione che è stata rimossa nel tentativo di sedare la febbre politico-elettorale. Stiamo parlando del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità. Angela Merkel in un’intervista rilasciata alla vigilia della Presidenza tedesca della Unione europea ha detto chiaramente che il Mes è stata introdotto per essere utilizzato. È chiaro a chi pensasse: all’Italia innanzitutto e alla Spagna (senza escludere la Francia la cui economia sta andando molto male, al pari dei suoi “cugini latini”). Conte ha reagito stizzito: “A fare i conti sono io”. Ma i conti sono presto fatti. Il fondo per la ripresa sarà disponibile solo l’anno prossimo. Si parla di un anticipo all’Italia, eppure anche questa richiesta sarebbe una prova di debolezza. Il Mes metterebbe subito a disposizione almeno 36 miliardi di euro da rimborsare in dieci anni, risorse preziose per rilanciare gli investimenti che sono la chiave vera della ripresa. Pregiudizio ideologico, competizione elettorale, divisioni tra correnti e correntine all’interno dei pentastellati, incertezze dello stesso Pd che, pure, è in sostanza favorevole all’utilizzo del Mes, provocano uno stallo diventato, a questo punto, il pericolo peggiore.

Il presidente del Consiglio annuncia “un recovery fund italiano”, con quali fondi e per fare cosa non lo dice. Anche perché nessuno è in grado di sapere né chi arriverà a settembre, né come ci si arriverà.