Nelle ultime settimane le quotazioni dell’oro sono tornate al centro della cronaca complice un rialzo che l’ha portato ai massimi di sempre. C’è un altro argomento che si è fatto strada nella cronaca finanziaria che è quello dell’indebolimento del dollaro e infine, meno discusso di quanto si dovrebbe, un crescente numero di obbligazioni a rendimento negativo.
Partiamo dal primo punto. Secondo la vulgata l’oro sarebbe una protezione contro l’inflazione. In realtà è esattamente il contrario; l’oro oggi sale perché i mercati non solo non credono a una ripresa a V, ma credono che non ci sarà inflazione nei prossimi trimestri. Per inciso questo significa dubitare dell’azione delle banche centrali che da anni tentano disperatamente di iniettare inflazione. Questa è la ragione per cui non si vede alcun segno di rallentamento nel processo che sta portando una fetta crescente del mercato obbligazionario globale a rendimenti negativi. Se si scontassero crescita e inflazione nessuno di certo si precipiterebbe a comprare bond a rendimenti minimi.
Il secondo punto è il dollaro che si indebolisce. In realtà questo non sta avvenendo se non per un effetto ottico dato dalla rivalutazione dell’euro degli ultimi mesi; anche il “dollar index” non è altro che il cambio euro/dollaro travestito visto che l’euro pesa per più del 50% sull’indice. Nella realtà dei fatti un numero elevato di valute negli ultimi mesi si è deprezzato contro il dollaro. È un altro segnale del vero “sentiment” dei mercati sulle condizioni finanziarie globali; si continuano a comprare dollari come protezione contro mercati finanziari instabili e prospettive incerte. È uno dei tanti indicatori che segnalano, sotto traccia, il reale stato delle aspettative rispetto ai mercati azionari vicini ai massimi di sempre. Gli indici sulla volatilità o sugli spread tra rendimenti delle obbligazioni statali americane e societarie danno gli stessi messaggi.
Il terzo punto riguarda le obbligazioni a rendimento negativo. Mancano all’appello i treasury americani, ma nulla impedisce che si comincino a testare acque inesplorate nelle prossime settimane se continuasse la sfiducia degli investitori rispetto alla situazione finanziaria e all’azione delle banche centrali.
La questione a questo punto è fino a quanto sarà possibile perpetuare “l’equilibrio” di questi ultimi mesi. Gli investitori aspettano di capire se ci sarà ripresa a V, sempre più dubbia, e se le banche centrali riusciranno a salvare la baracca e nel frattempo si “coprono” comprando oro, dollari e obbligazioni a rendimento negativo. Più questa situazione continua, più la ripresa non si manifesta, più aumentano i rischi che si manifestino eventi “distruttivi” nel mercato: il fallimento di un’economia emergente, di settori industriali o di banche iper indebitate. Questa è la situazione ed è interessante anche per le nostre minuscole vicende italiane. I soldi a pioggia per l’assistenza rischiano di finire presto e la “non strategia” di sperare che le imprese ce la facciano da sole con tasse ai massimi, iperburocrazia e i costi della “rivoluzione verde” agganciando una ripresa globale che non c’è e non si vede non è rassicurante.