Si apre oggi, 5 settembre, una settimana che terminerà con due giorni cruciali per il futuro dell’Europa: l’8 settembre, quando a Francoforte si terrà la prima riunione autunnale del Consiglio della Banca centrale europea (Bce), e il 9 settembre, quando a Bruxelles è in calendario un Consiglio “straordinario” dei ministri dell’Energia dei 27 dell’Ue. Sono due giorni cruciali, in quanto dai risultati si potrà vedere la coesione e la capacità di resilienza dell’Ue in materia di politica monetaria e di politica industriale.
C’è un nesso più forte di quel che sembri tra le due politiche: per essere efficienti ed efficaci le due politiche richiedono una visione di medio e lungo periodo. Ciò è particolarmente difficile quando si è alle prese con una guerra alle porte di casa, guerra che, nell’Ue, sta provocando un’inflazione da costi tali da mettere a repentaglio i conti e i programmi di numerose aziende grandi e piccole.
La guerra sta avendo anche conseguenze difficili in materia di politiche monetarie e pure dei tassi di cambio: dopo il simposio di Jackson Hole, che questa testata ha approfondito la settimana scorsa, c’è la possibilità di politiche monetarie divergenti dai due lati dell’Atlantico e di un deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro.
Andiamo con ordine. Le prime notizie sull’inflazione Usa, con dati ovviamente preliminari (quelli definitivi saranno disponibili tra una decina di giorni, parlano di un aumento dell’indice dei prezzi al consumo a un tasso annuo attorno all’8,5%. Ciò vuol probabilmente dire che quando, il 20-21 settembre, si riunirà l’organo decisionale della politica monetaria americana, il Federal Open Market Committee, sarà difficile prevedere una riduzione dei tassi d’interesse Usa. È anzi possibile che venga proposto e deliberato un nuovo aumento. Il tema è argomento di discussione tra i rappresentanti delle Banche centrali nazionali dei Paesi dell’euro in attesa della riunione del Consiglio Bce dell’8 settembre.
I rappresentanti delle Banche centrali sono usi a parlare a voce bassa e a muoversi con passi felpati. Tuttavia, questa volta i Paesi nordici non hanno esitato a far sentire la loro voce, soprattutto Isabel Schnabel, che viene dalla tedesca Bundesbank e fa parte dell’Esecutivo della Bce, che ha preso lo spunto perché l’8 settembre si annunci un nuovo rialzo dei tassi, unitamente a restrizioni all’uso (eventuale) di quello che viene giornalisticamente chiamato lo “scudo anti-spread”. I Paesi mediterranei navigano in questo momento in acque difficili: l’Italia è in piena campagna elettorale, mentre Francia e Spagna sono alle prese con forti dissidi interni.
Per l’industria un aumento dei tassi sarebbe in molti Paesi Ue come una mazzata in testa. Per questo le decisioni Bce dell’8 settembre s’intrecciano con quelle del Consiglio “straordinario” dei Ministri dell’Energia del giorno dopo.
Sinora si sono tentate strategie dei singoli Stati dell’Ue in materia di risposta ai ricatti russi in materia di gas. Non hanno funzionato. La Federazione Russa si considera una grande potenza mondiale, solo temporaneamente indebolita dalle decisioni di Gorbaciov di porre fine all’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Ora si ritiene in pieno rilancio a fronte di un’Ue in declino e dipendente dagli Usa.
Occorre una risposta comune dell’Ue, scegliendo un mix di varie misure: price cap europeo al prezzo del gas, stoccaggio in parte in comune, un’azione congiunta per diversificare le fonti di approvvigionamento e per acquistare gas sul mercato mondiale (come è stato fatto per i vaccini per il Covid-19), riconsiderazione del nucleare.
Attuare queste misure richiede tempo, ma in due-tre anni si può fare molta strada e se l’Ue è compatta la Federazione Russa avrà il problema di trovare altri clienti per il suo gas.
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