La City di Londra concede a Giorgia Meloni una promozione con riserva dopo i primi due mesi a palazzo Chigi. La nota fine-settimanale di Europe Express – firmata da Tony Barber sul Financial Times – è interamente dedicata al bilancio del debutto del “Governo italiano più a destra dalla caduta del fascismo”. L’esecutivo che riannoda dopo un decennio abbondante le fila politiche con Silvio Berlusconi, che l’Economist bollava senza appello come “unfit to lead Italy”.



La sintesi del voto positivo di FT è in due constatazioni. Una geopolitica: il riallineamento netto dell’Italia nel fronte Nato nella nuova “Guerra fredda” con Russia e Cina. La seconda registrazione è invece finanziaria: lo spread italiano, nei primi 60 giorni dell’era Meloni, non ha dato preoccupazioni. Barber non lo scrive e forse neppure lo ha pensato: ma il lettore è autorizzato a intravvedere una relazione di causa-effetto. Nel 2011 lo spread a 600 (senza l’intervento strutturale della Bce) aveva colpito frontalmente il Governo Berlusconi, troppo vicino alla Russia di Vladimir Putin e troppo sgradito agli Usa di Barack Obama, il predecessore “dem” di Joe Biden.



La lente della “foreign policy” è molto articolata nell’analisi. A favore di Meloni gioca l’aver tirato dritto in Parlamento sul nuovo pacchetto di aiuti all’Ucraina nonostante le differenze di posizione da parte di Fi e Lega (i due partner di coalizione di Fdi) e un’opinione pubblica non compatta dietro le ragioni di Kiev. Di più: rispetto alle due passate maggioranze – in cui M5S era “senior partner” – l’entusiasmo di Roma verso la Cina si è “raffreddato”. Non da ultimo: l’Italia ha appena stretto una partnership con Gran Bretagna e Giappone per lo sviluppo di un nuovo aereo militare, con un visibile impegno politico-finanziario sul fronte della difesa “occidentale”. E un asterisco non banale merita – su un segmento geopolitico specifico come la crisi migratoria – la relativa comprensione del quotidiano della City per la “frustrazione” della Meloni di fronte al muro di gomma dell’Ue sulle richieste di nuove misure condivise.



Più cauto – di fatto sospeso – è il giudizio sulle politiche economiche. La nota sconta che Meloni, ai blocchi di partenza, non possa riscuotere presso mercati e cancellerie internazionali lo stesso credito messo in campo da Mario Draghi. Due fatti – entrambi politico-istituzionali – hanno però spinto FT a usare toni diversi da quelli abitualmente severi da Londra verso l’Italia. Il primo è l’approvazione (mai scontata) della Commissione Ue per la manovra italiana 2023. Una seconda notazione riflette il trauma fortissimo registrato poche settimane fa dalla City per il crollo della sterlina e dei titoli governativi britannici per l’azzardato “budget” presentato dalla premier-meteora Liz Truss: una tory di destra, con più di un’analogia di profilo con Meloni. La quale, dal canto suo, si è ben guardata dal seguire quelle orme, intenzionalmente devianti dal rigore di bilancio.

Ma quali sono gli esami cui la Premier italiana è chiamata nei prossimi mesi? Già nella versione finale della Legge di bilancio FT si attende che vengano normalizzate le “intemperanze” iniziali su uso del contante e della moneta digitale. Ma le sfide vere sono ben altre.

La prima e principale resta la crescita: che sembra “lasciata indietro” dall’Italia, da troppi anni. FT non sembra per nulla convinto che rilanciare il Ponte sullo Stretto sia la strada giusta per rimettere in moto il Pil italiano in via strutturale. La raccomandazione è invece quella di continuare il sentiero virtuoso del Pnrr, garanzia anzitutto del flusso regolare di fondi europei. Il tutto mentre il debito rimane – e il suo costo torna a essere – una palla al piede per l’Italia.

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