Giuseppe Pennisi, in un suo recente articolo sul Sussidiario, ha citato un vecchio proverbio britannico: “Beggars can’t be choosers”, vale a dire che chi chiede l’elemosina non ha diritto di scegliere, ma deve prendere ciò che gli viene dato. Il riferimento era all’atteggiamento del nostro Governo di fronte al ricorrente problema dell’esistenza di condizioni, e quali, per accedere ai prestiti del Mes. Per quanto possa suonare irrispettoso e malgrado i proclami del Governo, il detto descrive abbastanza oggettivamente la situazione. Da qui, come suggerito in un precedente articolo, l’opportunità di premere su Bruxelles perché come parametro della solidità di un Paese venisse assunto il debito aggregato invece del solo debito pubblico. Con questo parametro, l’Italia non sarebbe più in testa alla classifica degli indebitati e potremmo passare da mendicanti a clienti solvibili che chiedono un prestito. Almeno, potremmo trattare sulle condizioni.
L’Italia, poi, dovrebbe utilizzare più efficientemente un altro punto di forza e cioè il suo consistente risparmio privato. In questa direzione, autorevoli personaggi come Giulio Tremonti, Ferruccio De Bortoli, Giovanni Bazoli hanno avanzato l’idea di un Prestito nazionale a lungo termine e irredimibile, soluzione tipica di fasi di dopoguerra. L’amministratore delegato di Intesa SanPaolo, Carlo Messina, ha invece proposto il lancio di bond sociali, destinati a finanziare progetti ad alto impatto sociale e con rendimenti competitivi.
Solo il 4-5% del debito pubblico è posseduto da privati italiani, a fronte di una liquidità in conti correnti e depositi stimata dalla Banca d’Italia in circa 1.400 miliardi di euro, pari a circa il 55% del debito pubblico. Se solo il 10% di questa massa venisse investita in titoli di Stato, avremmo a disposizione un capitale superiore a quello per cui stiamo “mendicando” a Bruxelles e Francoforte.
Una strada non tutta in discesa, perché occorre guadagnare la fiducia degli italiani, come sottolinea Giulio Tremonti nella sua intervista al Sussidiario: “Un piano del genere si basa sulla fiducia, e presuppone forze politiche che ispirano e ottengono fiducia”. Un problema serio, al quale dà una ragionevole risposta Paolo Savona, Presidente della Consob, in un suo intervento all’evento Milano Capitali organizzata da Class Cnbc: “Non c’è la possibilità che l’Italia possa dichiarare default”, semmai, “c’è un problema di spread che è un problema a sé stante legato alla sfiducia che viene sparsa a piene mani sia all’estero, sia dalle autorità sovranazionali, ahimè, e sia all’interno”.
Ho detto che mi sembra una risposta ragionevole, perché non è molto probabile che l’Italia possa, e venga lasciata, fallire. Comunque, gli italiani che temono questa eventualità, se hanno potuto, i loro soldi li hanno già portati fuori dal Paese: nella tradizionale Svizzera, nei paradisi fiscali, come il Lussemburgo sede della Corte di Giustizia Europea, o li hanno investiti, perdendoci, nei Bund tedeschi. Chi tiene i propri risparmi in Italia rimane comunque esposto a questa remota possibilità e chi li tiene nelle nostre banche corre per di più il rischio di possibili fallimenti, come nel recente passato, aggravati dalla folle norma europea del bail-in.
L’emissione di prestiti riservati ai cittadini italiani dovrà essere studiata accuratamente, sia nelle modalità di attuazione e, soprattutto, per le finalità, che devono essere ben definite e di interesse reale per i cittadini. In questa ottica potrebbe essere attivata una specifica collaborazione con le Regioni, che a loro volta potrebbero emettere prestiti con obiettivi locali ancor meglio valutabili dai sottoscrittori. Inoltre, potrebbe essere ripresa anche la progettazione di mini-bond a favore delle Pmi, elemento fondamentale, ma debole, del nostro tessuto industriale.
L’altro aspetto importante è quello remunerativo e, probabilmente, questi titoli finiranno per essere più onerosi per lo Stato. Occorre, però, tener presente che, in questo caso, gli interessi rappresentano una partita di giro, in quanto parziale restituzione del prestito a italiani. Questi interessi rimangono all’interno del nostro sistema economico; quelli pagati agli investitori stranieri, che detengono circa il 30% del debito, vanno invece a vantaggio di altre economie.