L’articolo di Mario Draghi, apparso sul Financial Times, non ha avuto – almeno secondo me – lo spazio che meriterebbe. Vale la pena di riportare alcune sue parole. La sfida alla quale ci troviamo di fronte impone di valutare “come agire con forza e rapidità sufficienti per impedire che la recessione [causata, o meglio, accelerata vorticosamente dalla pandemia] diventi una prolungata depressione, resa più profonda da una serie di default che produrrebbero un danno irreversibile.  È chiaro che la risposta dovrà comportare un significativo incremento del debito pubblico“; più radialmente, osserva: “La perdita di reddito subita dal settore privato [famiglie e imprese] deve alla fine essere assorbita, del tutto o in parte, dal bilancio pubblico. Livelli di debito pubblico molto più elevati diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e saranno accompagnate dalla cancellazione del debito privato“. Il precedente emergenziale più prossimo, le guerre mondiali, sono state finanziate soltanto in minima parte tramite imposizione fiscale, essendo la base imponibile pressoché integralmente erosa per la povertà diffusa. Naturalmente, se così si è fatto per finanziare l’industria pesante, cioè la distruzione, non si capisce quale sia l’ostacolo a un programma ben calibrato ora per finanziare la ricostruzione.



Quelle dell’ex Governatore della Bce mi sembrano idee molto forti, che però non hanno suscitato un grande dibattito, per verificare se sia o meno una strada fattibile; c’è confusione su questo punto. Solo due anni fa, fior di economisti osservavano, riferendosi al nostro Paese, che l’incremento di deficit di pochi punti percentuali avrebbe reso il debito insostenibile e, di conseguenza, impossibile la crescita. È vero, o è il mantra europeo del debito, ben espresso dal vocabolo tedesco (“Schuld”), che significa anche colpa, appunto?



Tale idea rivive oggi nel dibattito politico europeo, che, fondamentalmente, non è ancora giunto a un programma ben definito, come dimostrano le parole del ministro delle finanze olandese, Wopke Hoekstra – riportate dalla stampa -, a commento della posizione dell’Eurogruppo sugli euro(corona)bond: “C’è una maggioranza contro gli eurobond. C’è una maggioranza contro la mutualizzazione del debito”. Si ripiega verso le linee di credito rafforzate (“Eccl”), erogate dal Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) e soggette a lieve condizionalità, che consisterebbe nella copertura dei ”costi sanitari diretti e indiretti” legati alla malattia, ossia, ad esempio il costo relativo agli ospedali (diretto) e il costo della riabilitazione sanitaria dei malati (indiretto).



Secondo Hoekstra, i ministri hanno riflettuto a lungo sulla differenza tra costi diretti e indiretti, giungendo alla conclusione che i soldi non potranno essere utilizzati per gli effetti economici indiretti: ”Penso che sia giusto – avrebbe detto – perché per quella parte la sola condizionalità è il coronavirus, del quale soffriamo tutti. Ma per i mezzi di cui un Paese ha bisogno per affrontare i costi economici, diretti e indiretti, lì si applicano le regole di sempre, con la condizionalità macroeconomica. È molto chiaro”.

Vediamo: sono un lavoratore, o un piccolo imprenditore, un libero professionista; mi sono ammalato e, grazie a Dio, sono guarito; dovrei ripartire più o meno da zero (o anche da meno, se si tiene conto di tasse, contributi, prestiti e mutui, ora sospesi, poi riattivati e che non stiamo parlando di uno scenario statico); come faccio senza uno stimolo anche economico? Come faccio a distinguere il danno economico da quello sanitario?

Anche volendo ribadire il fermo principio che uno Stato “virtuoso” dovrebbe avere i mezzi per ripartire da solo, non tiene conto del carattere simmetrico dello shock economico, diffuso a livello mondiale, senza alcuna certezza di quando si sarà definitivamente fuori pericolo, ma pare che considerazioni simili non affiorino alla coscienza di tanti. Del resto, cosa pretendere da un Paese il cui Premier si sarebbe presentato a fine febbraio a un vertice sul bilancio Ue, con una mela e una biografia di Chopin sotto il braccio, dicendo di avere le armi per passare la notte, contrario a ogni genere di negoziazione e, avanzando la proposta di istituire una sorta di fondo di beneficienza per aiutare i Paesi in difficoltà di 20 miliardi (sic!), avrebbe ammesso che si tratta di soldi da regalare, non da prestare, perché “a Paesi inaffidabili come l’Italia è meglio regalare un miliardo piuttosto che prestarne dieci” (cito da fonti di stampa)…!

Non è detto che la strada passi per gli euro(corona) bond, vista ormai l’allergia europea alla “mutualizzazione del debito”, ossia a forme concrete di solidarietà pubblica. Potrebbe passare per un ancor più deciso acquisto del debito pubblico da parte della Bce, come suggerisce l’economista Rony Hamaui (su lavoce.info): “In una situazione dove i debiti di famiglie, imprese e Stato aumenteranno in maniera vertiginosa, il rischio è che la crescita economica venga soffocata per molti anni e che nessuno possa rimborsare questi debiti se non con sacrifici altissimi In un simile scenario, la storia ci insegna che le conseguenze politiche e sociali sarebbero davvero complesse. Forse allora non vale la pena erigere barricate davanti agli Eurobond o ai fondi Mes, che comunque rimangono debiti da rimborsare, anche se a tassi bassi e in un periodo lungo, ma puntare a una vera e propria monetizzazione del debito dei paesi europei: almeno in questa fase, avrebbe poche controindicazioni in termini inflazionistici, ma porterebbe un gran beneficio nel superare la crisi peggiore del secondo dopo guerra“.

È l’avviso che pare essersi formato oltreoceano, dove, per fronteggiare l’emergenza (finora circa 17 milioni di lavoratori statunitensi si sono rivolti allo Stato per ottenere un sussidio di disoccupazione), la Fed ha dispiegato ulteriori misure eccezionali (altri 2 mila miliardi di dollari), prevedendo anche un programma di prestiti destinati direttamente alle imprese, soprattutto piccole e medie, che sarebbero a rischio di sopravvivenza senza ottenere un’immediata dose di liquidità: “la banca centrale ha il potere di prestare, il governo quello di spendere“, avrebbe commentato Powell. Parole sante.

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