La settimana che ha preceduto l’elezione del presidente della Repubblica si è chiusa con la peggiore giornata borsistica dell’anno e degli ultimi mesi. I mercati scontano l’inizio di una fase di rialzo dei tassi e politiche monetarie meno espansive della Federal Reserve. Sullo sfondo rimane l’inflazione che a dicembre ha fatto segnare l’incremento maggiore dal 1982; gennaio e febbraio potrebbero mostrare un’ulteriore accelerazione perché con l’anno nuovo le imprese hanno rivisto i listini con l’obiettivo di recuperare l’aumento delle materie prime e difendere i margini.
Il tema è, per ovvie ragioni, politicamente sensibile perché l’inflazione intacca il potere di acquisto delle famiglie. La fine delle restrizioni e il cambio di approccio di molti governi nei confronti del Covid fa cadere l’esigenza di misure emergenziali agli occhi di un’ampia fetta della popolazione.
La liquidità che si prosciuga lascia scoperti tutti i problemi che due anni di pandemia hanno scavato nei bilanci delle famiglie, delle imprese e degli Stati. Due anni di misure emergenziali e di politiche monetarie e fiscali espansive hanno permesso agli investitori di mettere da parte molti problemi incassando nel frattempo una fase di rialzi dei listini lunga e consistente.
In questo scenario l’Italia, con il suo debito fuori scala e il deficit a due cifre, rischia di tornare al centro del dibattito. Il Pil del 2021 è frutto non solo delle riaperture. ma di tanta spesa pubblica e sussidi su cui l’Unione europea non ha potuto e voluto dire niente a causa della pandemia. L’incremento della bolletta energetica non è neutrale per le prospettive economiche italiane. L’Italia non ha il nucleare e non ha un debito abbastanza basso per sussidiare le imprese in una partita di giro che alla fine si traduce in maggiore spesa pubblica o minori tasse. Sospettiamo che l’Italia non sia nelle condizioni per svincolarsi da regole europee che non aiutano i Paesi membri ad abbassare la bolletta o per muoversi liberamente sullo scacchiere “geopolitico” per assicurarsi forniture a prezzo contenuto.
Il debito italiano, è stato detto nel 2021, verrà ripagato con la crescita. È vero nella misura in cui il contesto, anche finanziario, rimane positivo, il Paese non spicca per chiusure e restrizioni e non deve subire la chiusura delle fabbriche perché i costi sono insostenibili. Ieri Banca d’Italia ha abbassato le stime di Pil per il 2022 dal 4% al 3,8%. Non siamo neanche alla fine di gennaio.
È per questo che le banche d’affari e i principali organi di informazione economiche hanno nei radar le elezioni del presidente della Repubblica da settimane. Morgan Stanley, per esempio, avvisa che le eventuali dimissioni di Draghi, da presidente del Consiglio, potrebbero aumentare le possibilità di elezioni anticipate e il ritardo dei finanziamenti europei. Per ING il migliore degli scenari possibili per lo “spread” è la nomina di Draghi al Quirinale. Sono solo due esempi del “mood”: qualsiasi scenario metta a rischio la presenza di Draghi nella politica italiana rimette nei radar la situazione economica italiana che non si può riassumere solo con il Pil del 2021. Sia per l’eccezionalità degli elementi, anche fiscali, con cui è stato raggiunto. sia per le fragilità dell’economia italiana a partire dal debito e dalla crisi energetica. È inutile aggiungere che la presidenza del Consiglio, vista la storia degli ultimi anni, è molto volatile.
Dal 2014 non è cambiato molto. L’Italia dentro l’euro e dopo qualche decennio di integrazione europea è quello che è. Il circolo vizioso continua e risolverlo in un senso o nell’altro, dentro o fuori, diventa sempre più costoso.
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