Iniziamo dalla fine. Nel Bel Paese «Il cinque per cento delle famiglie italiane più abbienti possiede circa il 46 per cento della ricchezza netta totale». Questa è una tra le conclusioni che si può trarre dal documento pubblicato ieri da Banca d’Italia che, attraverso il periodico rapporto Questioni di Economia e Finanza, ha analizzato l’evoluzione della ricchezza italiana nel periodo compreso tra il 2010 e il 2022. In occasione di quest’ultima pubblicazione (numero 836), l’Occasional Paper dal titolo “I conti distributivi sulla ricchezza delle famiglie: metodi e prime evidenze” ha portato alla luce il confronto tra le disponibilità patrimoniali detenute dagli italiani rispetto a quelle dei cittadini esteri a noi più vicini.
Il lavoro, basato sulle statistiche dei conti distributivi sulla ricchezza delle famiglie (Distributional Wealth Accounts, Dwa) compilati dalla Bce e da alcune banche nazionali dell’Eurosistema (tra cui la Banca d’Italia) ha concretizzato un essenziale benchmark composto da informazioni coerenti con gli aggregati di contabilità nazionale presenti nei conti patrimoniali di ciascun Paese con, alla base della metodologia Dwa, quattro distinte fonti: l’indagine armonizzata sui bilanci delle famiglie dei Paesi dell’area dell’euro (Household Finance and Consumption Survey, Hfcs) per le informazioni sulla distribuzione della ricchezza delle famiglie, la “World’s Billionaires List” di Forbes per i patrimoni delle persone più ricche, i conti finanziari per gli aggregati sulla ricchezza finanziaria delle famiglie e, infine, i dati di contabilità nazionale sulle attività non finanziarie delle famiglie.
Tornando alle Conclusioni emerge «l’eterogeneità della composizione del portafoglio delle famiglie italiane, che è rappresentato principalmente da abitazioni e depositi per quelle meno abbienti ed è maggiormente diversificato per quelle più ricche (con un peso significativo di azioni e di attività non finanziarie non residenziali)», mentre dal punto di vista dell’andamento «la concentrazione della ricchezza netta è aumentata tra il 2010 e il 2016, per poi mantenersi pressoché stabile; la dinamica più recente, caratterizzata da una lieve crescita nel 2021 e da una riduzione nel 2022, sembra riflettere principalmente l’andamento dei prezzi delle attività finanziarie detenute dalle famiglie appartenenti al decile più ricco. Nel confronto internazionale, l’indice di Gini è inferiore per l’Italia rispetto all’area dell’euro e in linea con il dato francese; la Germania risulta il paese con il maggior grado di disuguaglianza».
Attraverso quest’ultima considerazione, di fatto, emerge chiaramente lo stato di difficoltà che l’ex locomotiva di Europa sta vivendo. Guardando, infatti, al riportato Confronto internazionale della ricchezza netta media, «alla fine del 2022 le famiglie italiane sotto la mediana detenevano una ricchezza media di circa 60.000 euro, pari a tre volte quella delle rispettive famiglie tedesche (Figura 5); un divario positivo, seppure più contenuto, si osserva anche nei confronti della Francia. Al contrario, la ricchezza media nelle altre due classi è maggiore per le famiglie francesi e tedesche». Discorso diverso, invece, negli anni successivi alla crisi dei debiti sovrani e il suo mancato recupero nel periodo successivo che, come indicato nel rapporto di Banca d’Italia, rappresenta «una peculiarità italiana».
Tornando alle famiglie italiane e alla loro «eterogeneità della composizione del portafoglio» (rif. fine del 2022) si riscontrano tre gruppi: «la classe al di sotto della mediana, ossia il 50 per cento più povero; la classe “centrale” o “intermedia”, che corrisponde alle famiglie la cui ricchezza netta è compresa tra il 50° e il 90° percentile; il dieci per cento più ricco». Complessivamente i dati mostrano come la ricchezza degli italiani sia rappresentata dalle abitazioni e la variazione riconducibile a quest’ultima sia decisamente variabile: «Le abitazioni raggiungono i tre quarti della ricchezza per le famiglie sotto la mediana, si attestano poco sotto il 70 per cento per quelle della classe centrale mentre scendono a poco più di un terzo per quelle appartenenti alla classe più ricca. Per le famiglie più povere, i depositi sono l’unica componente rilevante di ricchezza finanziaria (17 per cento). Maggiormente diversificato è invece il portafoglio delle famiglie più ricche, per le quali quasi un terzo della ricchezza è rappresentato da capitale di rischio legato alla produzione (azioni, partecipazioni e attività reali destinate alla produzione) e un quinto da fondi comuni di investimento e polizze assicurative». Sempre parlando di ricchezza, ma nella sua forma più elementare (rappresentata dai depositi) le evidenze sono tutte positive in particolar modo per la cosiddetta classe centrale.
Quanto predisposto e diffuso da Banca d’Italia può apparire come un documento di natura strettamente statistica per soli professionisti o attenti osservatori e forse lo è. Noi stessi, nel riportarne il contenuto, non abbiamo potuto semplificare le varie risultanze e, comprendiamo, come il tema odierno possa apparire noioso e fin troppo accademico. Purtroppo, questi numeri, confermano una realtà che, in Italia e non solo, sembra poter essere caratterizzante anche in ottica futura. Una ricchezza in mano a pochi e un’inconsapevole povertà in capo a molti: il tutto a danno di una fascia intermedia che, anch’essa (ancora) inconsapevole, non potrà decidere del proprio destino. Non solo in Italia.
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