Caro direttore,
è uno strano momento, quello che stiamo vivendo. Si assiste in questo periodo a un pullulare di video e di commenti che ipotizzano cosa accadrebbe alla nostra economia se l’Italia dovesse uscire dall’euro. L’argomento è uscito dall’ambito ristretto dei blogger e dei giornalisti che parlano male di internet, o dei politici in campagna elettorale, ed è approdata anche tra le pagine di una rivista di riflessione politica come Limes. I commenti sono pressoché tutti sulla stessa linea: sarebbe un disastro. E questo ancora una volta dà una misura dell’ignoranza che ancora persiste sul tema. O ignoranza o malafede. Sembra di essere tornati a quindici anni fa, quando anche io mi sono esposto sul tema, mettendo in luce l’impreparazione sottintesa a certe affermazioni.



Infatti, per uscire dall’euro, bisognerebbe capire quale sarebbe la procedura da seguire. Ora, secondo i trattati sottoscritti, la procedura non c’è per il semplice motivo che l’uscita dall’euro non è prevista. Quindi, di che stiamo parlando? Ovviamente, che non sia prevista, non vuol dire che non possa accadere: infinite cose succedono e sono successe nel mondo senza che l’uomo le abbia previste o le preveda. Però, quanto meno, quando si parla di possibili eventi giuridici e politici, bisogna almeno sapere di cosa si sta parlando e cosa è previsto oppure no. Ebbene, in tutti questi commenti, nessuno si occupa di valutare il fatto che l’uscita dall’euro non è prevista.



Paradossalmente, si confonde l’uscita dalla Ue con l’uscita dall’euro. Ma l’uscita dall’Ue è prevista dagli stessi trattati Ue ed è precisamente la strada che ha percorso la Gran Bretagna, seguendo le procedure ivi riportate (tenendo presente che la Gran Bretagna non aveva bisogno di uscire dall’euro, non avendo mai aderito alla moneta unica). Ma l’uscita dall’euro non è prevista e una eventuale uscita dall’Ue non prevede nulla al riguardo. E non potrebbe, anche perché le due cose evidentemente non coincidono, dato che diversi Paesi appartengono all’Ue e non hanno l’euro (Svezia, Polonia, Danimarca, Ungheria, ecc.). Sicuramente è una situazione grottesca, ma questo è.



Allora cerchiamo di fissare alcuni punti fermi, in modo da orientarci facilmente in questa problematica, poi proverò ad affrontare il tema interessante del motivo per cui tale argomento sembra essere tornato d’attualità.

Un punto fermo è che uscire dall’euro non è indispensabile, poiché per tornare alla sovranità monetaria sarebbe sufficiente creare una moneta di Stato, cosa che non sarebbe nemmeno contro le regole Ue. Per moneta di Stato si intende uno strumento di pagamento ufficialmente accettato in Italia, gestito dal ministero del Tesoro e non dalla Banca d’Italia, anche per un ragione molto pratica: Bankitalia ha tutta una serie di vincoli imposti dalla Bce e dai trattati. In quanto banca centrale, non può gestire una moneta diversa dall’euro. Ma nei trattati nulla impedisce allo Stato di battere una propria moneta, imponendo l’utilizzo di tale moneta per il pagamento delle tasse.

Il secondo punto fermo è che l’obiettivo è la sovranità monetaria: quindi tutti quegli scenari nei quali si ipotizzano disastri perché si usano le regole e i vincoli di sempre che riguardano l’euro, cadono nel ridicolo proprio perché nessuno di essi valuta la possibilità di usare la sovranità monetaria. Per esempio, si ipotizza per lo Stato la difficoltà a vendere i propri titoli di Stato (per recuperare la liquidità necessaria al proprio funzionamento) e nessuno fa menzione del fatto che, avendo una propria moneta, invece di vendere titoli può stampare moneta, con la quale pagare i fornitori, che useranno la stessa proprio per pagare le tasse.

Ma se per fare investimenti, lo Stato avesse la necessità di reperire soldi vendendo titoli (e quindi indebitandosi), a che servirebbe avere una propria moneta? A che serve una propria moneta per avere o recuperare la sovranità monetaria, se poi questa non viene usata quando deve essere usata?

Un terzo punto fermo è che la moneta di Stato e la sovranità monetaria non sono una panacea per tutti i mali. Io non l’ho mai detto e non ho mai sentito nessuno affermare una simile assurdità; siccome viene spesso rinfacciato dai sostenitori dell’euro, vale la pena sottolinearlo. Al contrario, una moneta sovrana, una moneta reperibile facilmente all’occorrenza, sarà estremamente utile nei momenti di difficoltà, soprattutto quando viene a mancare la moneta o quando la mancanza di moneta rischia di bloccare o ritardare l’avvio di un progetto necessario al bene comune.

Quarto punto decisivo, non considerato praticamente da nessuno. Il passaggio da euro a nuova lira è una cosa completamente differente del passaggio da lira a euro. Anzitutto, non sarebbe un ripristino delle vecchie lire, quelle ormai appartengono al passato: sarebbe comunque una nuova moneta. Ma non sarebbe semplicemente un percorso inverso rispetto al precedente, per un motivo di grandissima rilevanza: in tale passaggio, la vecchia moneta euro non sarebbe priva di valore. Questo ci permetterebbe di recuperare tutto il valore perso in questi 25 anni, un valore che è reso evidente dal fatto che gli stipendi italiani in circa trent’anni sono allo stesso livello, mentre quelli tedeschi e francesi sono aumentati di circa il 30% e oltre.

Come si recupera questa mancata crescita? Con gli euro che lo Stato incasserà, quando gli italiani, per pagare le tasse, con gli euro acquisteranno le nuove lire prodotte dal ministero del Tesoro. Lo Stato non avrà bisogno di imporre l’uso della nuova lira, se non per il pagamento delle tasse. Ognuno sarà libero di continuare a usare gli euro per tutto il resto. Con le tasse, ogni cittadino e ogni impresa cambierà (quando vuole) gli euro con la nuova lira e con questa pagherà le tasse. Quindi, al cambio, lo Stato fornirà la nuova lira creata dal nulla e incasserà gli euro equivalenti. Si tratta di circa 800 miliardi di euro all’anno, ogni anno, con i quali lo Stato potrà pagare i propri costi e pagare i debiti in euro.

Siccome la somma dei conti correnti in Italia è superiore ai 4mila miliardi di euro, sicuramente ce n’è abbastanza per gli anni a venire, per pagare tutti i debiti e per fare tutti gli investimenti necessari da parte dello Stato.

Ora veniamo all’attualità. Perché mai proprio in questi mesi si stanno moltiplicando gli interventi su questo argomento? Perché inevitabilmente tornerà di attualità e perché certi poteri probabilmente hanno paura di un revival di questo argomento. E l’argomento tornerà di attualità per quello che sta accadendo sotto i nostri occhi: una sempre maggiore conflittualità tra i Paesi europei, in particolare tra Francia e Germania, poiché i due Paesi stanno vivendo una profonda crisi economica (provocata da sanzioni tanto sciocche quanto autolesionistiche) e da visioni opposte su cosa fare per il futuro. Macron, infatti, per difendere la propria produzione, vorrebbe imporre dei dazi sulle importazioni cinesi, ma Scholz non ci pensa proprio, dati gli ottimi scambi commerciali in corso con i cinesi. Tra l’altro, i due sono pure in conflitto sulla guerra in Ucraina: Macron non vede l’ora di inviare truppe francesi, mentre Scholz non ci pensa proprio a inasprire un conflitto che si svolge ai propri confini.

C’è pure un altro elemento che in questo periodo sta riscaldando i commenti. Si tratta dei due interventi, fatti in luoghi diversi, dall’ex premier Mario Draghi e dal noto economista Francesco Giavazzi, autorevole editorialista del Corriere della Sera. Il primo ha affermato che “abbiamo perseguito una strategia deliberata volta a ridurre i costi salariali gli uni rispetto agli altri – e combinata questa con una politica fiscale prociclica – l’effetto netto è stato solo quello di indebolire la nostra domanda interna e minare il nostro modello sociale”. Praticamente l’opposto di quanto affermato per due decenni, fino all’anno scorso. Questa è la confessione esplicita che le cure applicate da Monti erano sbagliate. Ma quelle applicate da Monti, dopo le dimissioni di Berlusconi nel 2011, erano precisamente le ricette dettate da Draghi nell’estate 2011 nella sua lettera a Berlusconi, poco prima delle sue dimissioni.

Ma se non si comprimono i salari (sempre aumentando le tasse), come si mettono a posto i conti dello Stato? Come si risolve il problema del debito? Il tema del debito lo ha affrontato Giavazzi: “Occorre abbandonare l’idea che il debito sia un onere trasmesso alle generazioni future. Se indebitarsi oggi per investire, consentirà ai nostri nipoti di vivere in un continente libero e che cresce, ripagare il debito sarà un onere minore. Anche perché il debito pubblico non deve essere necessariamente ripagato. Alla scadenza il debito pubblico può essere sempre rimborsato riemettendo altri titoli”. Toh, proprio quello che avevamo sempre detto e che fino a ieri era una bestemmia: il debito pubblico non deve essere necessariamente ripagato, anche perché potrebbe essere interamente comprato a mani basse da una banca centrale che stampa la moneta che serve per comprare quel debito e quindi è come se lo Stato stesso stampasse moneta, proprio come fa il Giappone da tanti anni.

Ma a questo punto, se la Bce si mettesse a fare quello che prima poteva (e ogni tanto faceva) la Banca d’Italia, a che serve la Bce? A che serve la moneta unica? Capite perché il tema dell’uscita dall’euro è destinato a tornare d’attualità?

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