Negli ultimi giorni il rendimento del decennale dei principali Paesi europei, dalla Germania alla Francia passando per l’Italia, si è mosso al rialzo in modo netto. L’interpretazione che viene data a questo fenomeno è quella di una scommessa sul rialzo dell’inflazione, il “reflation trade”, che inevitabilmente porterebbe a un incremento dei tassi. Oggi è impossibile stimare quale sia l’orizzonte temporale di un rialzo dei tassi ma questa variabile non entra, se non minimamente, nell’equazione perché le condizioni dei mercati attuali, tassi bassi e supporto delle banche centrali, consentono di incorporare nelle stime scenari anche molto distanti nel tempo.
Nel sentire comune la parola inflazione è associata a elementi solamente negativi, ma nella realtà dei fatti una “buona” inflazione è sintomo di crescita, indica che l’economia va bene, che i prezzi delle case salgono al punto tale che le banche centrali devono contenere il fenomeno. Le banche centrali inseguono disperatamente l’inflazione buona almeno dal 2008; la cercano sia perché vorrebbe dire che l’economia reale va bene, sia perché il mostro del debito creato dopo la crisi Lehman non può neanche lontanamente rientrare senza l’inflazione.
I mercati hanno scommesso sull’inflazione buona a più riprese dopo la crisi del 2008 e dopo la crisi dei debiti sovrani europei nel 2011/12, ma l’inflazione non è mai arrivata; è rimasta un sogno che i mercati hanno inseguito per poi venire delusi. Infatti i tassi alla fine sono sempre scesi. Il continente che ha deluso più di ogni altro, da questo punto di vista, è sicuramente l’Europa, che è sostanzialmente in deflazione da più di dieci anni al punto che il target di inflazione della Bce, il 2%, è oggetto di scherno per gli investitori. È il sintomo più evidente dell’incapacità di trovare una via per la crescita e il benessere che impatti “l’economia reale” e che non si fermi ai “mercati finanziari”. Il problema è di tutti ma in nessun’altra macroarea globale, incluso il Giappone, è così pronunciato. Il tasso dei decennali dell’Europa “core”, Francia e Germania, infatti è negativo da molti trimestri.
In questi giorni quindi parte la scommessa sull’inflazione “buona” nonostante i mercati abbiano sbattuto il muso, e si siano dovuti arrendere all’evidenza per due volte negli ultimi dieci anni perché la crescita è stata sotto le aspettative ovunque ma in Europa ha deluso clamorosamente. Speriamo, ovviamente, che questa volta sia diverso e che gli sforzi delle banche e dei governi per rilanciare la crescita funzionino anche se in questa fase c’è una nuova sfida.
Dicevamo di un’inflazione “buona” che avviene come conseguenza di crescita e salute dell’“economia reale”, ma c’è anche un’inflazione cattiva che oggi è un rischio percepibile come conseguenza di lockdown e blocchi dell’economia che impongono a tutta l’industria costi aggiuntivi, anche per la sola “logistica”, che alla fine si scaricano sui consumatori dove fa più male: alimentari e costi energetici. Questa è una sfida in più per governi e banche centrali in una fase dell’economia globale che rimane molto delicata.
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