Due interviste a ripetizione stretta, nel weekend decisivo per la formazione del governo Conte 2. Due uscite mirate sui quotidiani economici della City milanese: Milano Finanza sabato; Il Sole 24 Ore ieri (addirittura d’apertura di prima pagina, la stessa finestra riservata pochi mesi fa a Luigi Di Maio). Matteo Renzi ha scelto i media specializzati della capitale del Nord per dar spessore e strategia al suo grande ritorno: maturato pur dopo tre pesanti sconfitte elettorali in serie del suo Pd (referendum 2016, politiche 2018, europee 2019).
La sortita sul Sole, in particolare, è andata a far diretta concorrenza su piazza a quella accordata dall’ambrosianissimo Corriere della Sera al sindaco Beppe Sala: scalpitante al di là della fresca condanna in primo grado dei magistrati di Milano per illeciti nella gestione dell’Expo 2015. Ma Renzi si è ritrovato a sfidare frontalmente anche un editoriale di Ferruccio de Bortoli, sempre sul Corriere di ieri.
Da direttore, de Bortoli aveva tacciato di “stantìo odore di massoneria” il “giglio magico” renziano e aveva poi duramente attaccato il ruolo dell’ex ministro Maria Elena Boschi nelle crisi bancarie. Sul column di ieri – pur legittimando la controversa “operazione Conte bis” condotta dal Quirinale sotto le pressioni di Ue, Casa Bianca e Santa Sede – de Bortoli si è mostrato molto pensoso sulla reali prospettive dell’esecutivo Pd-M5s in campo politico-economico.
Una riflessività “terzista” che non è suonata sorprendente: il Corriere è, dal 1876, la “preghiera mattutina” di Milano e dei ceti produttivi del Nord. E questi rappresentano la costituency odierna della Lega di Matteo Salvini, oggi prima forza politica italiana: appena espulsa con un colpo di palazzo dalla stanza dei bottoni di Palazzo Chigi, per dare campo libero a un Sud clientelare e assistito (oggi prateria pentastellata) e forzare il rientro di un Pd dominato da politici di professione, “generone” capitolino, deep state centro-meridionale, dipendenti pubblici vetero-sindacalizzati, Cgil “landinizzata” e antagonista.
Mentre Romano Prodi ha scelto Ventotene – una simbolica isola mediterranea – per rivendicare a viso aperto la paternità extra-italiana del “governo Orsola”, Renzi è parso non voler perdere tempo nel varcare la Linea Gotica appena sopra Firenze e tentare un “effetto-25 aprile” là dove esso è nato come categoria culturale e ideologica della storia italiana: a Milano nel 1945, a Piazzale Loreto e dintorni.
È a Milano che – poco prima di Ferragosto – i due grandi vecchi della finanza meneghina (l’ex presidente della Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti, e il presidente emerito di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, da sempre vicinissimi entrambi a Prodi) hanno rilasciato a Famiglia Cristiana un’intervista a due voci formalizzando una sorta di “Manifesto della Nuova Resistenza”: quello che – nell’arco di giorni – ha giustificato il “ribaltone giallorosso” del premier non eletto, che ha dapprima umiliato in Senato il suo vicepremier (titolare del 35% all’ultimo voto europeo) e si è visto poi confermare nel mandato da una speculare coalizione “di discontinuità”.
È a Milano che si sta decidendo il destino di Silvio Berlusconi e della sua Mediaset: contro la quale è ripartito proprio in questi giorni l’assalto del finanziere francese Vincent Bolloré. Fin da quando – nell’estate 2011 – negoziò da premier maggioritario la sua resa presso il Quirinale di Giorgio Napolitano, il Cavaliere ha sempre potuto godere di un solido regime di protezione: prima sotto il governo Monti, poi sotto i tre governi del centrosinistra, infine grazie alla presenza della Lega nel governo gialloverde. E ora? Chi può assicurare a Berlusconi un tranquillo “fine vita” se non l’antico partner del patto del Nazareno, in cambio di voti “a chiamata” a sostegno del Conte 2 (come i voti di Denis Verdini puntellarono il governo Renzi)?
È a Milano che sta decidendo il suo futuro Urbano Cairo: editore del Corriere e di La7, possibile leader post-berlusconiano di una nuova forza centrista in funzione anti-Lega; ma anche possibile erede di Berlusconi in Mediaset.
È a Milano che ha sede Assolombarda: che, sulla carta, ha in mano il ticket per la successione a Vincenzo Boccia in Confindustria. Un passaggio che si deciderà a cavallo di fine anno e nel quale un ruolo chiave sembra assegnato a Emma Marcegaglia: insediata da Renzi alla presidenza Eni (in scadenza la prossima primavera come il Ceo Claudio Descalzi e i vertici degli altri gruppi pubblici) e divenuta da lì vera “eminenza grigia” in Viale dell’Astronomia.
È a Milano che ha sede una Procura tradizionalmente potente e allenata a giocare sullo scacchiere politico. Ed è a una festa del Fatto Quotidiano che – non più tardi di sabato scorso – il procuratore capo Francesco Greco ha dialogato con il leader della Cgil, Landini, delineando una “nuova frontiera” politico-giudiziaria: il recupero di 200 miliardi di euro di evasione fiscale nascosti nelle cassette di sicurezza delle banche (nel Nord leghista, ndr).
Last but not the least: a Milano ha il quartier generale la Consob, oggi pilotata da Paolo Savona. Il quasi-ministro dell’Economia nel Conte 1 (dirottato al ministero degli Affari europei per il veto del Quirinale, premuto dalla Bce di Mario Draghi) è approdato alla fine alla Commissione di Borsa. È l’unica nomina riferibile alla Lega che sopravviverà alla de-salvinizzazione del governo. È un incarico della durata di sette anni, titolare di grandi poteri nel settore finanziario. E la storia della Commissione insegna che l’incisività del presidente dipende largamente dalle capacità e dal prestigio personale di chi è in carica, dalla forza (o debolezza) delle istituzioni finanziarie vigilate, dal profilo degli altri regulator concorrenti (Mef, Bankitalia-Ivass, magistratura, Bce, Antitrust Ue).