Dopo il disastroso dato della produzione industriale tedesca, in calo a dicembre del 3,5% sul mese precedente dove era previsto un -0,2%, è arrivato quello della produzione italiana, in calo del 2,7% mentre era previsto appena un -0,5%. La notizia è quindi duplice: la crisi sta agendo in pieno (e ancora non ci sono i dati del periodo nel quale è iniziata la diffusione del coronavirus cinese) e gli esperti non ci capiscono nulla e fanno previsioni sbagliate.



Mi viene da pensare che proprio il settore bancario possa rappresentare plasticamente quello che sta avvenendo in tutta l’economia reale. Proprio grazie a tassi bassi (ma non dovevano essere una benedizione per l’economia?), i profitti derivati dall’attività bancaria si sono compressi brutalmente e le banche sono costrette a chiudere le filiali e licenziare i dipendenti. Secondo l’analisi di Bloomberg, nel corso del 2019 sono stati tagliati circa 65 mila posti di lavoro nel settore bancario europeo. Di questi, 18 mila sono di Deutsche Bank, 9 mila circa di Unicredit e 5.400 di Banco Santander. Unicredit taglierà così circa 450 filiali. A partire dalla crisi economica e finanziaria del 2008, in Europa il numero di lavoratori in banca è passato da 1,6 milioni a 1,3 milioni. Bel risultato abbiamo ottenuto con i tassi che quando non sono a zero è perché sono negativi!



Con i tassi negativi il denaro diventa prezioso perché a differenza delle merci (la gran parte delle merci) col passare del tempo non si deteriora. Si tratta di un meccanismo semplice, di una cosa ovvia, tanto ovvia che sfugge alla gran parte degli espertissimi economisti. Il risultato ovvio è che chi ha denaro in abbondanza invece di investirlo lo tiene fermo, a meno di casi sporadici di guadagni eccezionali, quei casi particolari che normalmente si chiamano “speculazione”. Quelli però sono pure i casi nei quali si guadagna denaro non grazie al lavoro di qualcuno (o di qualcun altro), ma grazie alla distruzione del lavoro.



Proprio come nel caso del settore bancario sopra menzionato: l’importante è che i titoli salgano in borsa, non importa se questo si ottiene con la distruzione dei posti di lavoro e se nel lungo periodo si porta l’azienda a morte certa, tanto nel lungo periodo lo speculatore ha già venduto tutto e abbandonato il Titanic che affonda.

Cosa rimane da dire? Solo il fatto che questo sistema folle, tutto basato sulla globalizzazione e sulla distruzione del controllo statale sul mercato, con il referendum della Brexit e la vittoria di Trump (due avvenimenti accaduti nel giro di pochi mesi nel 2016) è di fatto arrivato al capolinea insieme alla distruzione della globalizzazione. Sia negli Usa che in Gran Bretagna la volontà popolare, nonostante la pressione mediatica contraria, ha avuto la meglio. In Europa invece no e l’Europa rischia di pagare il conto per tutti, come chi si è seduto a mangiare nel tavolo dei truffatori e poi si alza per ultimo e da solo deve affrontare l’oste che chiede il conto.

L’Europa di oggi, in particolare l’eurozona, non difende i propri aderenti dalle tempeste dei mercati finanziari: al contrario di quanto ci avevano promesso (e di quanto ancora oggi qualcuno continua a raccontare) ci espone senza difese ai venti contrari della speculazione, rendendoci più fragili di quanto non siamo.

Ora è arrivato anche il coronavirus a gettare ulteriori incertezze sul prossimo futuro dell’economia e della finanza. Incertezze che hanno portato una parte importante della popolazione cinese all’isolamento e diverse fabbriche cruciali alla chiusura temporanea. Ma temporanea per quanto? Nessuno a oggi lo sa e nessuno si azzarda a fare previsioni. E l’incertezza è il peggior nemico dei mercati finanziari, un nemico che mina la fiducia e prepara a crolli improvvisi.