Il Recovery fund ha preso finalmente forma e soprattutto sostanza: 750 miliardi di euro è la proposta della Commissione che si andrà a sommare a quanto già previsto (Mes, Sure, Bei) e al nuovo Quadro finanziario pluriennale (Qfp). A beneficiare dell’importo maggiore sarà l’Italia che – secondo l’agenzia Ansa – riceverà 172,7 miliardi di cui 81,807 sotto forma di aiuti mentre i restanti 90,938 come prestiti. A seguire ci sarà la Spagna con un importo complessivo pari a 140,4 miliardi ripartiti in 77,3 miliardi (aiuti) e 63,1 (prestiti).



Il destino di questi due Paesi era già sotto i riflettori. Nel nostro recente intervento avevamo dimostrato, numeri alla mano, come la Spagna e l’Italia rappresentavano le due economie con la peggior ripresa (in termini percentuali) relativa al loro rapporto “debito pubblico/Pil” nel 2021. Un vistoso gap con gli altri Paesi che trova pertanto plausibile giustificazione nella maggior sovvenzione da parte della stessa Commissione. Per le valutazioni definitive bisognerà attendere il prossimo appuntamento in agenda a giugno (17 e 18) dove si incontreranno i leader dei Paesi coinvolti al fine di poter accettare questa soluzione.



Nel frattempo, escludendo l’entusiasmo del momento, è opportuno fare alcune osservazioni sulle recenti dinamiche che stanno caratterizzando il nostro Paese agli occhi dei mercati finanziari internazionali. Si legge, e si ascolta, spesso di una significativa discesa dello spread italiano. Ormai giunto sotto i 200 punti, sembra che per l’Italia, le difficoltà non siano più all’ordine del giorno. Come spesso accade, soprattutto in materie delicate come la finanza, è importante contestualizzare il singolo dato mediante il confronto. A questo scopo, affiancando al Bel Paese i valori dei differenziali dei titoli decennali della Spagna e della Grecia rispetto a quelli della Germania, emergono interessanti elementi.



Dai massimi registrati a marzo, tutti i Paesi oggetti di comparazione, hanno avuto una diminuzione del loro spread: la Spagna è passata dai 152,70 punti agli attuali 106,3. La Grecia, allora penalizzata a quota 394,10 punti, vede il proprio valore ridimensionarsi a 198,3 e l’Italia, che dai precedenti 252,10 passa agli attuali 191,4 punti. È oggettivamente positiva la performance fatta registrare dalla penisola ellenica ma, ancor di più, è oggettivamente rilevante l’assottigliamento della forbice tra la stessa Grecia e l’Italia. Meno di dieci punti è la differenza (molto sottile) che separa i due Paesi del Mediterraneo. Questa risultanza non può lasciare indifferenti tant’è vero che, sempre su queste pagine, avevamo palesato il temuto pericolo di avvicinamento (con potenziale superamento) quando poche settimane fa la distanza tra i due valori era prossima ai trenta punti (spread per l’Italia a 244,80 rispetto a 274,70 della Grecia).

Ora, scoperta l’ultima carta mancante nel mazzo delle soluzioni proposte della Commissione Ue, è importante rispondere attraverso un’azione mirata da parte del nostro esecutivo in carica. Inutile perdere altro tempo in discorsi pro o contro Europa. Quello che dalle istituzioni europee si attendeva è arrivato: per alcuni era un atto dovuto mentre per altri una forma di potenziale ricatto. Retorica e demagogia politica a parte, come si può vedere, il risultato raggiunto è più che soddisfacente e, sulla base dei numeri finora presentati, quanto a noi spettante non sarà affatto trascurabile.

Ciò che si deve comprendere – e mai sottovalutare – sono le dinamiche che arrivano dai mercati finanziari: molto spesso non se ne tratta affatto e, qualora dovesse accadere, si arriva “sempre dopo”. Nell’arco di queste ultime settimane la notizia non è vedere uno spread italiano ridotto, bensì un pericoloso avvicinamento a quello della Grecia. Sicuramente, se tale evidenza fosse riportata, anche la stessa politica vivrebbe una maggior tensione dialettica nel solo interesse del Paese.

Come detto, a giugno, scopriremo il definitivo destino sulla proposta Recovery Fund. Arriviamo pronti a quella data e, magari, non in una condizione finanziaria di retrovia. È bene ricordare che nella finanza, quella reale, quella fatta dai numeri, gli ultimi sono e saranno sempre gli ultimi. Mentre i primi detteranno – sempre – le regole.