I conti non tornano o, si auspica, dovrebbero essere rielaborati con tanto di reinterpretazione e conclusione finale. Tale nostro cortese suggerimento ha come destinatari i molti osservatori che, nel corso di questi ultimi giorni, hanno commentato la diffusione (avvenuta venerdì scorso) del periodico Bollettino economico a firma Banca d’Italia. Il documento è assolutamente privo di ogni fraintendimento, ma, allo stesso tempo, è lecito, e obbligatorio, soffermarsi sulla sostanza di uno specifico dato riconducibile alla quota di investimenti (da parte di soggetti esteri) sui nostri titoli di Stato.



I vari commentatori hanno, di fatto, soffermato unicamente la loro attenzione sulla parte complessiva detenuta a novembre 2019, tralasciando, invece, l’analisi (significativa) che riguarda la dinamica dei recenti flussi avvenuti nel corso dell’ultima parte dell’anno trascorso. Riportiamo il testo presente nella “Sintesi” dello stesso Bollettino: «Negli ultimi mesi gli acquisti di titoli pubblici italiani da parte di investitori esteri sono stati ingenti (90 miliardi tra gennaio e novembre dello scorso anno)». Continuando nella consultazione del documento (rif. “La domanda estera e la bilancia dei pagamenti”), si apprende come «nei mesi autunnali è proseguito l’interesse degli investitori esteri per i titoli di debito italiani; tra gennaio e novembre gli acquisti netti dall’estero sono stati complessivamente pari a 108 miliardi, di cui 90 in titoli pubblici, un importo superiore alle emissioni nette del Tesoro nello stesso periodo».



Questo è il dato e, come ovvio, si tratta di un ammontare significativamente positivo in termini assoluti, soprattutto se raffrontato al precedente 2018 che si è contraddistinto per un saldo finale negativo pari a circa 51 miliardi. Ciò che invece lascia perplessi, almeno per chi scrive, è l’enfasi dimostrata nel commentare tale informazione. Certamente c’è stato interesse da parte di soggetti esteri. ma, andando ad analizzare l’ultima parte di anno (rif. 2019), questa loro attenzione nei nostri confronti è sicuramente venuta meno rispetto al loro consueto agire. E proprio questo è il punto: soggetti (esteri) interessati sì, ma non come prima, o come nelle precedenti parti di anno.



A tale considerazione non ci si arriva direttamente, ma, attraverso lo stesso Bollettino economico e la sua cosiddetta “Tavola 7”, la conclusione alla quale siamo giunti appare più concreta: alla colonna “A” è presente la voce “Investimenti di portafoglio esteri in titoli pubblici italiani” e, a tale aggregato, le sottoindicate cifre rappresentano l’ammontare (in miliardi di euro) riconducibile al periodo di osservazione suddiviso per anno e trimestre.

Riprendendo l’effettiva raccolta e, rielaborandone l’aggregazione, possiamo notare quanto segue: nel corso del 2018 c’è stato un saldo negativo (-52) ovvero corrispondente a una media mensile di poco superiore ai 4 miliardi di euro. Nell’incompleto 2019 (poiché manca il dato dicembre) assistiamo invece a un incremento di 89 miliardi con una media pari a circa 8 miliardi mensili. Andando a comparare le avvenute dinamiche rialziste e ribassiste dei posizionamenti esteri con l’andamento dei prezzi dei titoli di stato (utilizziamo il Btp Future come benchmark) si nota una correlazione positiva ossia: a un incremento della quota detenuta corrisponde un diretto aumento dei prezzi di mercato.

Per tale riscontro, e facendo un ulteriore approfondimento, si può produrre la seguente analisi: dallo scorso settembre, la somma investita è pari a “soli” 8 miliardi in tre mesi, ovvero un importo nettamente inferiore alla media annuale che come visto è di poco superiore agli 8 miliardi, ma su base mensile. Si tratta di un vero e proprio rallentamento negli acquisti da parte di coloro che, stando fuori dal Bel Paese, osservano, valutano, e ponderano i loro impieghi.

Sempre utilizzando i dati pubblicati, è inoltre possibile avvalorare l’ipotesi di un “potenziale disinteresse” nei nostri confronti. Prendendo come riferimento il periodo del Governo Conte I, la somma complessiva raccolta durante i suoi 14 mesi (escludendo giugno 2018) è pari a 46 miliardi di euro, pari a una media di 7,67 miliardi (verosimilmente in linea con i precedenti 8). Viceversa, l’attuale Governo Conte II, dal suo recente insediamento, vede al proprio attivo un saldo pari a soli 8 miliardi quale flusso registrato nei mesi di settembre, ottobre e novembre 2019 e una media mensile di poco superiore ai 2,5 miliardi.

Noi stessi, da osservatori, possiamo motivare questo tipo di disaffezione quale diretta conseguenza all’attuale situazione di incertezza politica del nostro Paese: soprattutto, oggi, alla vigilia di un importante appuntamento elettorale.

Come più volte abbiamo sottolineato, il dato è e sarà, fondamentale per noi. Sempre. Talvolta, può accadere che l’interpretazione non sia così lineare e strettamente circoscrivibile a un unico valore. È necessario uno sforzo. Lo sforzo di fornire, sempre, la giusta e corretta informazione. Molto spesso, nascosta dagli stessi numeri.