Daron Acemogliu, Simon Johnson e James A. Robinson hanno vinto il premio Nobel per l’Economia 2024 “per gli studi su come le istituzioni si formano e influenzano la prosperità”. “Ridurre le enormi differenze di reddito tra i Paesi è una delle più grandi sfide del nostro tempo. I vincitori hanno dimostrato l’importanza delle istituzioni sociali per raggiungere questo obiettivo”, ha dichiarato Jakob Svensson, presidente del Comitato per il Premio in Scienze economiche.
Il Nobel ai tre economisti – Acemoglu e Johnson del MIT, e Robinson dell’Università di Chicago – premia i loro studi su come la colonizzazione, introducendo nuovi modelli di società, ha influenzato in un senso o nell’altro la prosperità nei Paesi colonizzati. La conclusione generale è – come spiega l’Accademia – che “le società con un debole Stato di diritto e istituzioni che hanno sfruttato la popolazione non generano crescita o cambiamenti positivi”. La colonizzazione da parte delle potenze europee è stata di fatto una predazione senza limiti morali, spinta solo dalla ricerca dell’oro; i rari casi dove la colonizzazione è stata meno distruttiva si contano sulle dita di una mano; la corruzione portata dagli europei ha distrutto civiltà antiche lasciandole in miseria. Ma questa è la storia che si ripete, come aveva intuito Gianbattista Vico nel suo lavoro Historia nova del 1711, trama poi seguita da sociologi e antropologi che hanno scavato in tremila anni di storia arrivando alla conclusione che la storia si ripete non in modo meccanicistico ma sempre con gli stessi cicli e cadenze.
A leggere queste prime considerazioni sembra di scoprire l’acqua calda, perché i temi affrontati dai tre studiosi riprendono la lettura della storia fatta da sociologi insigni come Pitirim Sorokin, che nel 1947 fu fondatore insigne della facoltà di Sociologia di Harvard e che studiò 30 secoli di storia per capire la crescita delle civiltà ed il loro collasso; Arnold Toynbee, che nel 1947 in Civiltà al paragone scriveva che il dominio americano del dopoguerra sarebbe durato tre generazioni e poi sarebbe passato all’estremo oriente, Romano Guardini, Hans Urs von Balthasar ed altri. Ma prima di loro il tema della crescita e del collasso delle istituzioni era stato trattato dal Vico, appunto, nell’opera citata, sintetizzandolo nell’assunto “Historia se repetit”.
Siamo di fronte ad una crisi antropologica prevista da questi eminenti studiosi oltre 50 anni fa, mentre oggi, fingendo di scoprire qualcosa di nuovo, ci si mette a studiare quello che è già stato scritto, prendendo le distanze dalla finanza egemone, che ha modificato il Dna dell’economia da scienza sociale a scienza positiva, un errore messo in rilievo dall’ammonizione di Friedrich Von Hayek nel 1974, in occasione della consegna di un altro Nobel. Le scienze che studiano l’uomo, le sue istituzioni e i suoi drammi hanno permesso a insigni studiosi di produrre scritti magistrali nei quali hanno anticipato i tempi, ma non sono più stati letti ed ora, in modo naïf, si scopre il già saputo (ma solo da alcuni). Che un’istituzione come l’Accademia di Svezia cada in un errore così grossolano è sbalorditivo.
Proviamo a riprendere le previsioni dei sociologi ed antropologi sull’ avvio delle istituzioni, o più semplicemente della civiltà, per provare a valutare diversamente il premio.
L’uomo si è sempre chiesto il senso della propria vita cercando la risposta alle domande essenziali. Questa ricerca è cominciata nell’antica Grecia, dove gli studiosi non pongono dogmi come succede oggi. Tutti gli studiosi greci nel loro intimo furono filosofi, vedendo l’uomo come elemento da cui partire; quel tempo dal V secolo a.C. pose le fondamenta del pensiero moderno, offrendo un lascito culturale ineguagliato sul quale si sarebbe innestato il cristianesimo. Lo stesso contesto creativo si ritroverà nel periodo del rinascimento italiano ed il termine con cui si può definire quei tempi è l’armonia.
Si prepara il terreno a Vico, che è il primo studioso innovativo nella storia: si sofferma sul divenire delle società e si chiede se sia possibile trovare delle costanti nella storia; secondo Vico nell’evoluzione della storia dell’uomo vi sono tappe che si alternano e si susseguono. Il percorso della civiltà è progressivo, ma quando raggiunge l’apice, gli stili di vita si indeboliscono, si corrompono e si degradano verso una forma di barbarie con violenza ed egoismo. Per Vico le ere storiche si alterano come il periodo degli dèi, degli eroi e degli uomini barbari che definisce in questo modo estremamente attuale: “Ma se i popoli marciscano in quell’ultimo civil malore… accostumati di non altro pensare ch’alle particolari utilità di ciascuno allora … la Provvedenza porrà rimedio riportando l’uomo al tempo degli dei”. È esattamente quello che è successo tra il tardo e collassante impero romano ed il Medioevo che riscopre la divinità e prepara il Rinascimento.
Oggi l’attenzione prevalente alla razionalità strumentale del mondo della finanza ha fatto perdere di vista la dimensione sociale della vita e le scienze sociali si occupano della società umana come una colonia di termiti, di api e di formiche. Siamo di fronte a una crisi antropologica e non economica ma lo studio esclusivo dell’economia ottunde i cervelli ed uccide la creatività. Sorokin studia 30 secoli di storia e cataloga i periodi storici e i modelli culturali che ne fanno da supporto in tre stadi simili a quelli di Vico: ideazionale, idealistico, sensistico, con il modello attuale, quello della cultura sensistica, che è l’opposto di quella ideazionale. Sorokin costruisce un’imponente documentazione empirica per capire la crescita delle società e delle istituzioni e il loro declino, in particolare punta il dito del declino sulla cultura tecnica, descrivendo con una precisione stupefacente le caratteristiche del nostro periodo culturale destinato al collasso.
Infine Arnold Toynbee, che come Vico e Sorokin fa leva sulla natura dell’uomo continuamente combattuto tra Eros e Thanatos, esprime un legame con la natura dell’uomo e richiama quel nichilismo distruttivo che porta al collasso le società. Nel suo ultimo lavoro del 1965 scriveva che le società si evolvono attraverso un meccanismo di sfida e risposta ovvero di interazione tra ambiente esterno e capacità di dominare gli eventi esterni che consentono il progresso delle società e delle loro istituzioni: “Ed in tal modo, se il congegno della sfida e della replica spiega le inesplicabili origini e crescita delle civiltà, esso spiega altresì il loro crollo e la loro disintegrazione, che comincia quando nelle élite che governano viene meno la creatività in grado di rispondere in modo nuovo alle sfide portate dall’ambiente esterno. Per incapacità o per supponenza la società lentamente perde la sua forza vitale e comincia a collassare”.
È esattamente ciò che vediamo ogni singolo giorno di una élite che ha perso contatto con la realtà. Forse si poteva evitare di dare un Nobel su una storia già scritta, ma le stesse élites dell’Accademia di Svezia hanno perso la capacità di capire la storia.
Gli illustri Nobel potrebbero mettersi a cimento per capire come mai gli Usa, in cui vivono e studiano le disfunzioni sociali, è il Paese con la maggiore disuguaglianza al mondo, con una ricchezza concentrata al massimo livello, una crescente massa di homeless, di disoccupati e una società esplosiva che mostra lo scollamento tra ricchezza e povertà, per scoprire che è solo una buona società fondamento dell’economia e non viceversa.
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