L’idea di un prelievo sulle scommesse per finanziare lo sport, proposta dal ministro dello Sport Andrea Abodi e dal Presidente della Figc Gabriele Gravina, farebbe dell’Italia un caso pressoché unico in Europa.
Nessun Paese del Vecchio Continente ha infatti adottato provvedimenti per destinare allo sport parte delle risorse provenienti dalla tassazione sulle scommesse, con la sola eccezione di Francia e Portogallo: due Paesi caratterizzati da un sistema fortemente “protezionista” con mono concessione, profondamente diverso da quello dell’Italia, che ha invece optato per un sistema aperto, con molti operatori a dividersi il mercato.
Guardando al resto dei Paesi Ue, non esiste nessuna norma lontanamente simile a quella caldeggiata da noi. Non è prevista in Germania né in Spagna, che pure adottano un sistema molto simile a quello italiano, con un mercato aperto a una pluralità di operatori. Non esiste nei Paesi scandinavi, né in quelli dell’Europa dell’Est. Non esiste neppure nel Regno Unito, che del betting può essere considerato la patria.
Addirittura, non è prevista neppure in Paesi che adottano un sistema mono concessione, simile a quello di Francia e Portogallo, come Grecia, Finlandia, Norvegia, Ungheria, Paesi Bassi o Slovenia.
Anche allargando i confini fuori dall’Unione europea, la tassazione a sostegno dello sport non è una pratica abituale: questa norma, infatti, non è prevista in nessuno degli Stati che compongono gli Usa, così come nel resto del Nord America.
La misura considerata in Italia rappresenta quindi un’eccezione praticamente su tutta la linea all’interno del panorama mondiale del betting.
Ma non finisce qui, perché un provvedimento del genere rischia anche di avere gravi ripercussioni sulla stessa tenuta del settore delle scommesse legali.
L’ipotesi è di riconoscere agli organizzatori di eventi sportivi una quota pari all’1% dell’importo delle puntate collegate alle competizioni sportive, senza alcun tetto massimo. In buona sostanza, applicando la previsione all’andamento del mercato nel 2022, si tratterebbe di una riduzione dei ricavi lordi di filiera superiore ai 160 milioni di euro ed equivalente a un incremento di imposta superiore al 30% rispetto alla pressione impositiva attuale.
La disposizione andrebbe insomma a incidere pesantemente su un settore già allo stremo dopo il lungo periodo pandemico e i lockdown dei punti vendita e di nuovo messo alla prova, oggi, dall’aumento dei costi dell’energia e dall’inflazione. Mettendo in pericolo, ancora una volta, migliaia di posti di lavoro (oltre 6.000, secondo le stime, pari a circa il 35% degli occupati dell’intero settore) e facendo un nuovo, inaspettato regalo alla criminalità e al mercato illegale, sempre pronto a occupare il vuoto lasciato dalla legalità, come già dimostrato durante la pandemia.
Il tutto, mentre il mondo del calcio continua a bruciare denaro in commissioni milionarie per i procuratori sportivi. Secondo l’ultimo rapporto FIFA sulle spese dei club per gli intermediari, il totale delle commissioni pagate nel 2022 è risultato pari a 586 milioni di euro, con un maxi-aumento del 24,3% rispetto al 2021: solo i club italiani hanno speso in commissioni più di 83 milioni di euro, con un incremento del 20,4% rispetto al 2021 e a dispetto delle grandi difficoltà economiche denunciate dalla maggioranza delle società.
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