L’acquisizione della francese Stx da parte di Fincantieri, annunciata nel 2017 con Gentiloni presidente del Consiglio, dopo tre anni travagliati con ogni probabilità non verrà mai finalizzata. A dare la notizia è stata ieri La Repubblica che cita un documento della commissione affari economici del Senato francese secondo cui l’acquisizione sarebbe un errore strategico per i rischi per l’occupazione e la sovranità francesi; il documento cita come motivazione anche l’accordo tra Fincantieri e la cinese “Cssc” e il rischio di perdita di know-how ma dopo tre anni sinceramente la “scusa” sembra un po’ tirata. La realtà è che l’acquisizione di Stx da parte degli “italiani” di Fincantieri rientrava in una partita più ampia i cui contorni e dettagli non sono mai stati chiariti e che hanno incluso strani cambi geografici.



Questo però non è il cuore della questione. La “notizia” è che gli italiani non possono comprare aziende minimamente strategiche in Francia a nessuna condizione e se ci provano, ci ricordiamo ancora la fallita operazione di Enel, vengono con pazienza e costanza lasciati fuori. Negli stessi anni i francesi hanno comprato in Italia aziende strategiche di ogni ordine e grado e pezzi di industria italiana, pensiamo al lusso, senza alcuna opposizione.



Non vorremmo però continuare la lamentela su un “trend” che è sotto gli occhi di tutti da un paio di decenni. Quello che ci importa è che meno di un mese fa, il 4 novembre, un’inchiesta di Federico Fubini pubblicata sul Corriere della Sera ci avvisava dell’alleanza tra Francia e Italia che “si stanno fondendo sul piano produttivo”. A sostegno della tesi si citavano FCA-PSA, Luxottica-Essilor, le banche e la moda. In questo elenco non troviamo una singola operazione che non sia classificabile come un’acquisizione “francese” nella forma o nella sostanza. Basterebbe, d’altronde, fare un rapido controllo sulla proprietà o sulla sede della società risultanti dalla fusione.



La questione vera è la narrazione su un processo di “integrazione europea” che non è affatto tra pari, almeno e sicuramente nel caso italiano. Si “narrano” alleanze e fusioni che in realtà sono un lungo elenco di operazioni a senso unico e che si descrivono come segno di una vera integrazione europea. La sostanza però non sfugge più a nessuno e il fallimento dell’unica operazione di segno opposto è solo l’elemento più evidente. Questa narrazione riflette il particolarissimo approccio italiano all’Europa, unico nel panorama dei Paesi membri, ed è probabilmente la causa principale del crollo dei sentimenti “europeisti” in Italia. Se l’Europa non è quello che ci hanno narrato e continua a non esserlo il problema, allora, non siamo noi italiani ma l’Europa stessa condannata da una narrazione ormai inspiegabile a essere strutturalmente deludente. Per tutti gli altri l’Europa e le sue istituzioni sono solo uno strumento per portare avanti interessi nazionali, certo in partnership con gli altri, per noi è il sol dell’avvenire che non viene mai e per cui nel frattempo si è sacrificato e si continua a sacrificare tutto; incluse le aziende strategiche che i francesi, giustamente, non sacrificheranno mai. Il tutto, tra l’altro, innaffiato da legioni d’onore e simili.

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