L’acquisizione/fusione di Chantiers de l’Atlantique da parte di Fincantieri ieri è stata definitivamente accantonata dopo che i termini per concludere l’accordo erano stati posticipati per cinque volte. Ufficialmente la fusione è saltata a causa delle norme europee contro la concentrazione. Eppure lo scoppio della pandemia e la crisi drammatica del settore delle navi da crociera sembravano aver consentito alla commissione europea di accantonare le preoccupazioni su una eccessiva concentrazione. La fusione era stata vista come la risposta, con la creazione di un “campione” europeo, alla concorrenza cinese; il crollo del settore crocieristico degli ultimi mesi aveva certamente rafforzato le ragioni di un consolidamento.
Per la commissione, invece, la crisi da Covid non avrà conseguenze di lungo periodo sulle crociere e quindi l’argomento della crisi terribile del settore non vale, essendo solo temporaneo. È una visione molto discutibile perché, per esempio, le compagnie aeree stimano che il traffico aereo del 2019 non verrà recuperato prima del 2024 e tutto indica che quello delle crociere segua andamenti del tutto simili, se non peggiori, perché la “crociera” è più discrezionale di un viaggio di lavoro o per un ricongiungimento famigliare.
Il Financial Times ieri chiudeva l’articolo dedicato alla notizia citando le dichiarazioni del governo francese che si impegnava a rimanere azionista della società e a “supportarla fino a che dura la crisi”. Una conclusione con cui si sottolineava la disponibilità “senza limiti” del governo transalpino a coprire le perdite fino all’uscita da una crisi di cui non si vede la fine. La crisi del settore, evidentemente, non è di breve periodo ed altrettanto evidentemente l’unico modo per tenersi in casa le competenze e non perdere le società sono gli aiuti di Stato. Questo è uno scenario in cui il consolidamento europeo e le fusioni transnazionali sarebbero la strategia migliore soprattutto in un’ottica di politica economica europea.
La realtà è che i cinque rinvii fino all’epilogo finale hanno avuto natura politica e in questo senso negli ultimi anni non sono mancate eloquenti dichiarazioni di ministri francesi. Per la Francia e il suo sistema Paese l’azionista italiano non è una garanza per i propri cantieri e per i propri lavoratori, per gli interessi del sistema e per la sovranità “sostanziale” francese. Questa è la ragione per cui, di rinvio in rinvio, con una invidiabile costanza si è riusciti nell’intento di impedire la fusione e mantenere la società in casa per quanto le dimensioni siano subottimali e nonostante l’unica alternativa siano gli aiuti di Stato. La fusione era l’unica contropartita “italiana” di una serie di fusioni e acquisizioni tra società italiane e francesi a senso unico.
Negli ultimi giorni hanno fatto capolino commenti improntati alla sorpresa per un atteggiamento poco “europeo” della Francia e forse anche disonesto, vista la teoria di scorribande transalpine in Italia anche in settori ad altissimo contenuto di sovranità reale. Questo però è un problema solo italiano, perché l’europeismo come si intende in Italia è un’anomalia in Europa. Per gli altri l’Europa è quello che è: sicuramente non è un super Stato e altrettanto sicuramente è un mezzo per guadagnare posizioni a discapito degli altri in un puro spirito di competizione.
Gli italiani, invece, anche in questi giorni inseguono governi “europeisti”. La domanda quindi si pone: cosa è esattamente questo europeismo italiano se tutto suggerisce che per gli altri l’”europeismo” non esiste e di certo non è un orizzonte da perseguire? Quando il gioco si fa serio e si parla di società strategiche, interessi geopolitici, sicurezza nazionale o sanitaria improvvisamente l’europeismo degli altri scompare. C’è una sola possibile conclusione: abbiamo capito male noi e, come corollario, spiegarlo agli “elettori” diventa sempre più complicato, perché più passa il tempo più lo “sbaglio” diventa evidente.