Fine del distanziamento, fine delle restrizioni, nessun qrcode da mostrare all’ingresso di negozi, e nessuna mascherina. Possiamo dunque tornare a goderci un ritorno alla vita di sempre dopo i due anni di pandemia da cui siamo stati travolti. O forse no? L’immunobiologa Akiko Iwasaki, che da tempo sta studiando Covid, Long Covid e i vari postumi, preferisce stare più cauta, allertando contro possibili future varianti, che potrebbero anche essere più aggressive. E si è poi anche concentrata sul long covid, rivelando nuovi dettagli.



I suoi studi, condotti insieme al suo team della Yale School of Medicine, sono diventati famosi in tutto il mondo. Nell’intervista resa al Frankfurter Allgemeine la dott.ssa Iwasaki non ha solo parlato di varianti ma anche del ruolo svolto dai vaccini contro il Covid, che sembrerebbero aver ridotto del 30% la possibilità di contrarre il virus. La sua attenzione si è poi incentrata sul long Covid, di cui sono affette decine di milioni di persone (ben 65 milioni per esattezza) dopo l’infezione. L’immunologa l’avrebbe tra l’altro battezzata una pandemia nella pandemia.



Il long Covid nasconde diverse entità patologiche

Il long Covid necessita di essere studiato più a fondo, ma quello che è emerso denoterebbe una serie di entità patologiche postume dopo aver contratto la malattia. La Dott.ssa Iwasaki ha spiegato infatti come molte persone che hanno contratto il virus hanno mantenuto sintomi anche nei 3 anni successivi. E sembrerebbe come ne siano derivate perfino patologie che avrebbero intaccato vasi sanguigni e cervello, quali alzheimer e altre malattie neurodegenerative. Prove comunque certe non ce ne sarebbero. E gli studi si starebbero concentrando anche sul Paxlovid, un farmaco antivirale della Pfizer, usato su casi sintomatici da Coronavirus e della cui efficacia si sta cercando di capire se si potrebbe riflettere anche sul long Covid.



L’esperta ha già comunque rilevato come, nonostante i molti risultati positivi, il farmaco non funzionerà su tutti i pazienti. Lo studio andrà quindi approfondito ulteriormente per capire su quali soggetti sarà più indicato. Dal successo di studi come questi in ogni caso non dipende solo il destino dei pazienti con long covid, ma anche quello delle persone interessate da altre serie e ancora poco conosciute condizioni, come la sindrome da fatica cronica, che con il virus potrebbero condividere alcune dinamiche e cause scatenanti.