Ora che l’arcano sortilegio che aveva legato Carlo e Matteo è sciolto, ogni cosa andrà dove deve. Come due innamorati legati da un fluido magico preparato da un’esperta fattucchiera, il loro legame è durato qualche luna e, a meno di un anno dalle elezioni che li avevano congiunti in un matrimonio morganatico, si separano senza neppure tanto patimento. Chi se ne gioverà di più?
Il sospettato di averne maggiori benefici, se terra a bada l’ego, è Carlo. Lui può uscire dal rapporto politico con Renzi con più brio di quanto ne avesse rispetto a quando ci è entrato. Nell’immaturità politica manifestata nei mesi scorsi, con dichiarazioni spesso improvvise, ha mostrato in nuce di aver capito che un posizionamento meno ambiguo giova ed è necessario. La sua maturazione definitiva, se ci sarà, potrà esaltarne il ruolo e metterlo a capo della parte moderata che guarda a sinistra senza più il peso del vecchio compagno di viaggio così odiato dal Pd.
Per Carlo però non sarà semplice. Il suo carattere, che per tutti è come una moneta falsa, che per quanto venga lucidata torna com’era, è ancora sovrabbondante rispetto alle esigenze della politica alta. Troppo netta l’idiosincrasia per i 5 Stelle per poter essere superata, almeno per ora. E se vuole sconfiggere Giorgia Meloni con le truppe che ha, deve aggregare: anche quella parte di suoi acerrimi amici che seguono Conte deve essere portata a bordo per necessità.
Il Pd non si muoverà di un millimetro, né verso i grillini né verso Carlo. Lascerà a loro spazio, convinti che nello stare immobili sia la loro forza. Perciò sta a Carlo muoversi e riposizionarsi, casomai lavorando affinché su più temi, con il dialogo, si trovi una sintesi con gli accoliti di Conte. Lo vogliano o meno, solo dalla loro ipotetica alleanza può uscire una forza aggregata in grado da rispolverare una dinamica bipolare e porsi come antitesi a questo centrodestra.
Tutta diversa la partita di Matteo. Lui giocherà per sfasciare l’alleanza di governo e rifare una forza centrista che sia egemone in termini di posizionamento ed abbia, alla lunga, la capacità di costruire un terzo polo con lui a guidarlo. Una nuova formazione stile vecchia Dc, depurata del supporto indennitario e religioso, che sia nei fatti in grado di ereditare i vecchi voti del primo Silvio. Più lo scenario politico si sfascia a destra e sinistra e più Matteo è convinto di emergere. Perciò gli attacchi saranno fatti sia alla credibilità della Meloni, che nei piani tornerà a punteggi elettorali sotto il 10 per cento, sia contro il Pd ed i suoi alleati (tutti) che tra non molto tempo verranno apostrofati come “comunisti”. Dimenticando che da quelle parti ha comandato lui per qualche tempo.
La partita di Matteo è la più complessa, ha molti più nemici e la sua strategia è molto più ambiziosa. Non mira a costure un’area di centro ma a ristrutturare lo scenario politico nazionale per emergere lui come l’unico in grado di mettere il Paese al posto giusto governandolo.
I due saranno perciò, inevitabilmente, avversari. Col rischio di diventare anche nemici se non sapranno dosare le parole. Perciò quello che fu un grande amore si trasformerà nella peggiore separazione piena di strascichi e rancori. Del resto è così, quando finisce l’effetto delle magie e delle pozioni i cavalli bianchi tornano topini, le carrozze ritornano zucche e chi è stato in cucina a soffrire le angherie ci ritorna dopo una notte passata tra le braccia di un principe. Così vanno le favole. Se arriverà un vento, un principe a salvare uno dei due, per l’altro sarà la fine.
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