È ormai crisi. I dirigenti e i militanti che un anno fa, baldanzosi, avevano seguito il loro leader sicuri di “fare come Macron”, devono al contrario fare i conti con il male oscuro che colpisce tutti i partiti nati da una scissione della sinistra italiana: il nanismo. Una vera e propria maledizione.
Renzi e Italia Viva non sono risultati determinanti neanche in Toscana. Eugenio Giani avrebbe vinto lo stesso, visto il distacco di oltre 8 punti dalla candidata della Lega. Senza contare che nelle ultime due settimane il candidato del centrosinistra ha dovuto sudare sette camicie per convincere gli elettori toscani di non essere troppo fiorentino e troppo nelle mani di Renzi.
Dopo due settimane di passione, è commovente il tentativo che Renzi fa nella sua newsletter di mettere il cappello sul successo toscano. Cita solo i rari casi in cui le cose per Iv sono andate un po’ meglio, come in Campania dove, nella scia del trionfo di De Luca, raggiunge il 7%.
Italia Viva ha lavorato apertamente per la sconfitta di Zingaretti. In particolare in Puglia si è giocata una partita all’ultimo sangue, vista la determinazione con cui Renzi, Calenda e Bellanova hanno lavorato con l’unico scopo di far perdere Emiliano. Risultato di Scalfarotto: un misero 1,6%, con Italia Viva al 1,08% che non consente di eleggere neanche un consigliere.
Immaginate cosa potrà dire Emiliano, sempre più vicino al governo Conte, quando vedrà girare per la Puglia una ministra e un sottosegretario che hanno lavorato per la sua sconfitta. Non sarebbero lecito chiedere delle dimissioni?
Ma anche in Liguria Italia Viva ha lavorato duramente per far fallire l’intesa Pd-M5s. Raffaella Paita – la candidata imposta nel 2015 proprio da Renzi quando era premier e segretario del Pd e che consegnò la regione a Toti – si è ritrovata con un misero 2,41%. Anche qui Italia Viva resta fuori dal consiglio. La sua isterica volontà di rivincita li ha condannati all’irrilevanza.
La nuova legge elettorale – che dopo la vittoria del Sì al referendum sarà rapidamente calendarizzata alla Camera – prevede uno soglia di sbarramento al 5%. Per Italia Viva anche il 4% è un obiettivo molto difficile da raggiungere. Gira voce da giorni che Renzi intenda avanzare la richiesta di essere candidato a segretario generale della Nato, carica che si renderà disponibile il prossimo anno. Segno evidente che incomincia a farsi strada l’idea di mollare, di andarsene all’estero e lasciare in eredità alla Boschi il compito di portare avanti la piccola “ditta”.
Bonaccini ha risposto nervosamente a chi gli chiedeva – l’altra sera a Firenze – se il risultato toscano era da intendere come un successo di Zingaretti. Solo pochi giorni prima aveva proposto di riammettere gli scissionisti di Italia Viva nel partito. Aveva parlato di congresso e di nuova leadership. Oggi non vuol sentire parlare di congresso e si schermisce. Anche lui deve rivedere i suoi calcoli.
Diciamo la verità, pure l’idea di Goffredo Bettini di affidare a Renzi il compito di organizzare la terza gamba della coalizione di centrosinistra non sta in piedi. Renzi non ha le caratteristiche per dare voce a quella parte moderata del paese, la sua storia è troppo legata al Pd, il suo approccio ai problemi è ansiogeno, appare un manovriero senza scrupoli, ricorda troppo D’Alema, intelligente ma inviso alla maggioranza degli italiani. E poi ormai quella parte del paese sembra molto di più attratta da Giuseppe Conte. Saggio ed equilibrato, l’avvocato del popolo. Erano anni che un presidente del Consiglio non riusciva a stare lontano da una competizione elettorale. Se Renzi avesse avuto lo stesso atteggiamento di Conte sul referendum del 2016 avrebbe evitato di farlo diventare un referendum su di lui. E perderlo malamente. La storia forse avrebbe potuto prendere una piega diversa.