Via libera a tutti (o quasi): a Shanghai dopo due mesi di durissimo lockdown, in cui milioni di persone sono state obbligate in abitazioni trasformate in carceri, si allentano le misure anti-Covid. Si può tornare per strada, muoversi, prendere mezzi pubblici e addirittura uscire dalla città. Cosa è successo? Il Covid è improvvisamente scomparso?
In realtà i contagi erano pochissimi, ma come ci spiega Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, “la Cina ha sempre praticato nei confronti del virus una politica del tutto diversa da quella occidentale, non basata sui numeri di contagi effettivi, ma sul tentativo di impedire ogni possibile contagio, la cosiddetta tolleranza zero”. Una politica che si è rivelata perdente, “ma che le autorità cinesi non potevano ammettere davanti al loro popolo e al mondo” ci ha detto ancora Noci.
Il tutto aggravato da fatto che a novembre di quest’anno si terrà il XX congresso del Partito comunista cinese: “Fino ad allora in Cina non si deve muovere foglia e bisogna contenere ogni emergenza, comprese quelle sanitarie”.
Si torna lentamente alla vita normale a Shanghai, dopo settimane di lockdown durissimo. Cosa è successo realmente per permettere questa riapertura?
Bisogna tenere conto che la Cina ha sempre perseguito una politica diversa da quella occidentale in merito al Covid, la cosiddetta politica di tolleranza zero. Essa prescinde dal numero di casi di contagio effettivo e vive di un principio sbandierato dal partito come il motivo del successo cinese rispetto al mondo occidentale.
Cioè?
Quello che è successo a Shanghai, ma che in realtà è successo in molte altre città perché nel picco del lockdown sono state coinvolte 400 milioni di persone e oltre il 30% del Pil cinese, va collocato nella giusta ottica. Che ha ragioni squisitamente politiche.
La tolleranza zero nei confronti del Covid sarebbe in realtà una tolleranza sociale zero?
Le autorità non potevano cambiare la loro narrativa, dire cioè che il loro approccio al Covid non funzionava più. Quindi quello che avevano propagandato due anni fa – impedire ogni possibile contagio – è diventato vincolante per tutta la popolazione. L’altra ragione, sempre di natura politica, è legata alla specificità del 2022.
E sarebbe?
A novembre si tiene il XX congresso del partito comunista cinese. In un anno così il livello di sensibilizzazione e di attenzione del partito stesso si alza moltissimo. Ci sono un’ossessione e un’attenzione esasperate per evitare qualunque tipo di crisi, anche una crisi sanitaria. Non ci si può permettere la minima sbavatura sociale. Sono queste le ragioni che hanno portato a un lockdown con numeri così bassi rispetto a quelli occidentali, perché oggettivamente in una città di 30 milioni di abitanti come Shanghai avere mille casi di Covid e praticare un lockdown totale fa un po’ ridere.
Ci sono stati però episodi di malumore, anche di contestazione; qualcosa di inedito per i cinesi, no?
È per questo che adesso stiamo registrando un atteggiamento opposto. Bisogna tener conto che Shanghai è una città molto diversa da qualunque altra cinese. Ha un livello di presenza occidentale e di integrazione con il mondo occidentale nettamente più elevati di qualunque altra città cinese, Pechino compresa, che pure ha un buon livello di presenza occidentale. Il fatto che le persone abbiano avuto difficoltà di approvvigionamento di cibo, oltre a essere grave in sé, per le persone, è pericoloso per il partito perché il patto che regge la Cina sostanzialmente dice: io, partito, ti do da mangiare, tu popolo lavora, stai zitto e contribuisci alla causa del partito.
Tolleranza zero…
Nel loro sistema di valori il tacere è un valore positivo, sono abituati così. Questo patto è venuto meno; vuol dire che tu, partito-papà, non stai facendo il genitore. Se viene minato il patto su cui si regge il sistema di valori di una società complessa come quella cinese diventa tutto molto pericoloso. In queste settimane ritengo molto probabile ci sia stato un fortissimo dibattito interno al partito se proseguire con misure così forti.
Ha vinto l’ala più moderata?
Si comincia ad aprire. Non a caso a Shanghai il capo del partito è un fidatissimo di Xi Jinping, in predicato di assumere ruoli chiave. In vista del congresso si giocano nomine importantissime. Se in Cina tra la popolazione il livello di dibattito è bassissimo, nel partito un dibattito interno esiste, anche se non visibile.
Da qui a novembre cosa è lecito aspettarsi?
Fino alla fine del 2022 la Cina non sarà aperta al mondo e non si muoverà foglia: è troppo rischioso. Al di là della visione monolitica che abbiamo di questo Paese, all’interno dei think tank di potere i cinesi discutono. Perfino Xi potrebbe rischiare di avere problemi se la situazione precipitasse.
(Paolo Vites)
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