“SERVE LA LEGGE SUL FINE VITA, LA SENTENZA DELLA CONSULTA È STATA TROPPO AUDACE”: IL GIUDIZIO DI GIOVANNI MARIA FLICK

Lo ripete da tempo Giovanni Maria Flick: sul tema del Fine vita serve al più presto una legge dello Stato in quanto i regolamenti fissati dalla Corte Costituzionale, sebbene siano stati utili, sono netti e probabilmente anche troppo audaci e necessitano dell’intervento dell’unico organo preposto a farlo, ovvero il Parlamento. Intervistato lo scorso 20 agosto 2024 dal quotidiano dei vescovi “Avvenire” è stato lo stesso Flick a ribadire la necessità di una prima legge dello Stato sul Fine vita, riconoscendo però come anche la stessa Consulta (di cui l’eminente giurista è presidente emerito, ndr) già escluda i casi di eutanasia e suicidio assistito.



Dal caso Dj Fabo-Cappato del 2019 fino agli ultimi interventi che hanno chiarito ulteriormente quando è possibile non punire l’aiuto concreto al suicidio medicalmente assistito: nell’intervento della sentenza 135/2024, i giudici della Consulta hanno precisato il concetto di trattamento di sostegno vitale e riconoscimento del diritto del paziente a rifiutare i trattamenti sanitari. Nello specifico, va ricordato come nonostante quanto viene ritenuto ancora oggi, la Consulta non ha dato alcun via libera al “diritto di morire” anche perché resta centrale nella Costituzione l’invito alla tutela della vita umana: le linee guida diffuse dal Vaticano con la Pontificia Accademia per la Vita hanno chiarito poi come in alcuni casi la sospensione della nutrizione, davanti a possibilità nulle di recupero e malattia irreversibile, può essere il modo di evitare un accanimento contro la persona, sebbene creando non poche polemiche anche all’interno del mondo cattolico.



Secondo il giurista Flick lo Stato deve ripartire da queste ultime due conclusioni della Consulta e della Santa Sede, in quanto la persona umana e la sua vita va sempre difesa in maniera complessiva: «La Corte ha anticipato la decisione penale sul tema, in modo coraggioso e forse troppo audace», spiega all’Avvenire il presidente emerito della Consulta, aggiungendo come ora lo Stato ha il diritto e dovere di completare il quadro generale iscrivendo linee guida chiare e nette. Chi dovrà decidere poi fattualmente quando si possa intraprendere il percorso verso la Fine vita restano gli stessi attori, ovvero medici, sanitari e parenti ma nei modi in cui saranno stabiliti dal legislatore senza però aprire minimamente ad eutanasia o suicidio assistito arbitrario.



“BENE LINEE GUIDA DEL VATICANO SUL FINE VITA: LA PERSONA VADA SEMPRE DIFESA”

Il “Piccolo lessico sul Fine vita” pubblicato dalla Pontifica Accademia per la Vita viene considerato dall’ex Ministro della Giustizia Giovanni Maria Flick come un faro importante sul tema, che non cambia l’idea della Chiesa sul suicidio assistito e l’eutanasia ma che pone – esattamente come la Consulta – un riconoscimento fattuale dell’evoluzione scientifica raggiunta oggi.

In una Repubblica pluralista e laica – ma non laicista, tiene sottolineare lo stesso Flick – è giusto che sul piano giuridico si possa confrontare e dibattere sul “Sì” il “NO” e l’oppure di una determinata legge o proposta, senza scontri ideologici ma con il realismo che dovrebbe competere ad una sana cultura politica. Il tutto, nel caso del Fine vita, con un paletto insormontabile ovvero che la scelta fra essi «non si risolva in un’offesa alla vita e alla sua dignità, nel loro valore intrinseco e ineliminabile delineato chiaramente dagli articoli 2 e 3 della Costituzione».

Secondo Flick la verità di questa e di tante altre leggi va cercata nel dialogo, come risultato di dialogo e confronto: con la sentenza della Consulta sul Fine vita la persona può arrivare a scegliere tra la richiesta di un aiuto (e solo in quel caso si può definire non punibile chi ha effettivamente aiutato al terminare la vita del malato) e le cure palliative fino al compimento finale della propria vita. Ebbene, conclude Flick, «Soltanto in questo caso la Corte Costituzionale ritiene giustificato, si badi bene, non il riconoscimento di un diritto all’aiuto, ma più semplicemente la non punibilità di quest’ultimo, che resta sempre punibile in ogni altro caso». Ciò significa, secondo l’ex Guardasigilli, che la Corte ancora oggi continua a ritenere sia l’eutanasia che il suicidio assistito come vietati in termini generali.