“Sul fine vita la storia si ripete”, comincia così uno degli articoli pubblicati oggi su Repubblica. Ci piacerebbe rispondere: la storia si ripete perché chi dovrebbe ascoltare non ascolta; chi dovrebbe capire, non capisce. Perché chi si lamenta dell’ostinata difesa della vita da parte della maggioranza di un Paese intero, insiste di settimana in settimana a rosicchiare qualche privilegio in più per accompagnare i malati a morire. Dove sia, come sia, purché muoiano. Liberi tutti, è il loro slogan, ma liberi di morire è la loro unica promessa a chi ha la sfortuna di incontrarli.
Una lunga storia in cui i fautori della morte non demordono e continuano ad accusare i fautori della vita delle peggiori nefandezze. Per esempio di imporre dolore e sofferenze a chi vuole vivere; di essere ostinatamente autoreferenziali nella tutela della vita; di proporre cure palliative a quei malati per cui non ci sono altre linee terapeutiche specifiche; a chi si affida al giudizio del Comitato Nazionale di Bioetica, che recentemente ha dato una interpretazione autentica della famosa sentenza della Corte costituzionale, che come ormai tutti sanno, tra le quattro condizioni vincolanti pretendeva l’obbligatorietà di una proposta seria nella somministrazione delle cure palliative ad ogni paziente e pretendeva inoltre la spinosa e per loro ambigua richiesta relativa ai trattamenti vitali.
Scatenati contro i Pro life, e in modo inverso accaniti nel loro essere pro-morte. Sicuri di poter contare sempre, in qualche modo, sulla Corte costituzionale e su di un’interpretazione su misura per la loro visione confusa, oscura e drammaticamente irreversibile ad esclusivo favore della morte. Falsamente accusatori del silenzio, giudicato silente fin dal 2018, quando in realtà si sono susseguiti almeno 4 governi a composizione variabile, tutti contrari alla legge, e impegnati a cercare di cambiarne il testo, perché questo equivale ad una inesorabile sentenza di morte.
E mentre i compagni della buona morte solidarizzano con la Corte da cui auspicano sentenze su misura per i loro desiderata, insultano l’Avvocatura dello Stato perché esprime dubbi e perplessità. Arrivano perfino ad accusare l’attuale Governo di far dire all’Avvocatura dello Stato “giù le mani, è materia nostra”. E chi anticipa, con punti e virgole, la sentenza della Corte è ovviamente Repubblica, da sempre a favore dell’eutanasia. Dalla sentenza Cappato in poi, solo perché è un caso in cui ad arte si sono messo in circolo passioni ed emozioni che sembrano invocare la cancellazione del male e del dolore, con la più radicale delle sentenze: se non vuoi soffrire l’alternativa è solo una: morire, meglio se a carico dello Stato, che ne copre tutti i costi. E se questo non basasse, si insiste ancor più con persone fragili: se non vuoi far soffrire i tuoi cari, l’unica alternativa è che tu te ne vada, che tu scompaia. Magari potresti avere perfino un qualche momento di popolarità e di compassione da parte di un Paese indifferente nel proporti le migliori cure palliative possibili, per cui ti lascia solo nelle mani della squadra del “liberi tutti”, in cui a guadagnare qualcosa sono solo quelli che lo propongono. Come ha dimostrato Cappato alle ultime elezioni in Lombardia, in cui si è presentato ed è stato sconfitto da uno storico dirigente del Milan, Adriano Galliani. A Cappato quella battaglia è andata male e ora torna ad essere fautore di una sorta di partita a calcio tra la vita e la morte. O, se qualcuno lo ricorda, della partita a scacchi tra il famoso crociato nordico e la morte. Un crociato amareggiato, deluso, che riesce però a sconfiggere la morte per salvare la vita del giocoliere e della sua famiglia. Un’altra storia, in cui è evidente che nonostante la peste, la morte può essere sconfitta da chi ama la vita.
Ma quelli di “liberi tutti” non lo sanno neppure come si sconfigge la morte, per cui ogni volta ripropongono gli stessi slogan, contrapponendo una pseudo libertà ad una morte drammaticamente irreversibile. Nel famoso racconto del Settimo sigillo è la fragilità del giocoliere che conquista l’impegno per la sua vita da parte del crociato, perché la sua è una fragilità accolta, protetta, fatta propria per addossarsi il peso della partita a scacchi e lascare la morte frustrata e sorpresa, come chi non si rende conto di come ha potuto perdere.
Ma finora i “liberi tutti” hanno dovuto fare i conti con una libertà che non uccide la vita, ma la ama e la protegge. Ed è quello che molti di noi continueranno a fare negli anni a venire. Supportare libertà e vita in un binomio di straordinaria bellezza, dove anche il dolore trova il suo significato e diventa più sopportabile, perfino amabile se si hanno vicine le persone care che nel tempo hanno imparato ad amare, cominciando loro stesse a nono aver paura della morte, perché chi ama vince la morte. Da sempre…
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