Il Piccolo lessico del fine vita è stato salutato con favore, ma anche accolto da molte critiche: non poche voci cattoliche hanno visto, nella pubblicazione della Pontificia Accademia per la Vita e nel suo tentativo di rendere “comunicabili” i criteri, le valutazioni, le esperienze di chi soffre, uno scivolamento verso il sì al suicidio assistito.



Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della PAV, lo nega in modo risoluto: “Resta saldo il Magistero su eutanasia e suicidio assistito. Il no è ribadito, ma si sottolinea con maggiore forza rispetto al passato il “no” all’accanimento terapeutico”. “Io sto con i Papi”, spiega il vescovo al Sussidiario. Una legge, tuttavia, “oggi è necessaria”.



Monsignore, perché la scelta di partire dal “lessico”, cioè dalle parole? Che cosa si tratta di chiarire?

Fin dal 2015, da quando cioè Papa Francesco mi chiamò a presiedere la Pontificia Accademia per la Vita, mi sono reso conto della confusione, non solo terminologica, attorno al tema del fine vita. Immediatamente sentii l’urgenza di non dire semplicemente “no” all’eutanasia, che resta un “no” tondo. E impegnai l’Accademia ad approfondire e diffondere le cure palliative come la vera risposta alle domande sul fine vita. Questo non solo per l’Italia, ma per il mondo. E iniziammo dall’Italia. Subentrò successivamente, per l’Italia, la proposta di referendum sulla depenalizzazione del cosiddetto “omicidio del consenziente” (proposta poi non ammessa dalla Corte Costituzionale, ndr). E mi resi conto della notevole confusione anche nel nostro Paese. Un motivo in più per preparare un Piccolo lessico del fine-vita da destinare a tutti, ma adattandolo alla realtà di ogni Paese.



Insomma, le parole contano.

Sono fondamentali. Ma debbono essere spiegate e comprese. Ecco il perché di quel “piccolo”. Ci sono 22 termini – studiati in relazione al Magistero e, per quel che riguarda l’Italia, anche con i pronunciamenti della Corte Costituzionale e del Comitato Nazionale di Bioetica. Abbiamo cercato di usare un linguaggio semplice ma preciso sul piano scientifico. Dobbiamo partire dalla terminologia, per spiegare e per intenderci, altrimenti produciamo confusione ulteriore su una tematica già molto complessa.

Qualche titolo di giornale ha parlato di “svolta del Vaticano”. È così? In che cosa consisterebbe?

La “svolta” di cui parla impropriamente qualche titolo riguarda semmai il tono generale del nostro approccio: viene utilizzato un approccio scientifico per articolare una riflessione sul piano etico. Come dicevo, le tematiche sono complicate e soprattutto quando si entra nelle specifiche situazioni cliniche e di vita diventa impossibile generalizzare. Resta saldo il Magistero su eutanasia e suicidio assistito. Il no è ribadito. Ma si sottolinea con maggiore forza rispetto al passato il “no” all’accanimento terapeutico. E si esorta ad una nuova cultura e a nuove scelte per l’accompagnamento e la lotta all’abbandono terapeutico, di cui nessuno parla, purtroppo, ma che, a mio avviso, è “il” problema più scoperto.

Quindi il no della Chiesa all’eutanasia e al suicidio assistito rimane?

L’ho appena detto: il “no” resta a tutto tondo. Si riportano alcune indicazioni del Magistero circa gli interventi sulla proporzionalità necessaria rispetto ad alcune misure come l’idratazione e la nutrizione “artificiali”. Ne riporto qui qualcuna: “Non c’è obbligo di impiegare tutti i mezzi terapeutici disponibili e, in determinati casi, è lecito astenersene” (Pio XII, Acta Apostolicae Sedis XLIX [1957],1027-1033). E Paolo VI, avvertiva: “Pur escludendo l’eutanasia, ciò non significa obbligare il medico ad utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre la scienza” (Lettera al cardinale Villot, 1970). Ed anche san Giovanni Paolo II: “Si può in coscienza rinunciare ai trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso alla vita” (Enciclica Evangelium Vitae, citando la Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. sull’eutanasia Iura et bona (5 maggio 1980), par. IV). Ed anche Benedetto XVI: “La ricerca medica si trova talora di fronte a scelte difficili, ma serva un giusto equilibrio tra insistenza e desistenza” (Udienza ai partecipanti alla XXIII Conferenza Internazionale promossa dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari sul tema: “La Pastorale nella cura dei bambini malati”, 15 novembre 2008). Io sto con i Papi.

Eppure, il testo è stato accusato di aprire all’eutanasia, mediante un allargamento delle maglie concettuali – e pratiche – dell’accanimento terapeutico. Cosa risponde?

Hanno già risposto i Papi, come ho appena ricordato. Ovviamente vale il detto: “Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire”. L’ostinazione irragionevole (accanimento terapeutico) “si deve” rifiutare – secondo Papa Francesco –, ovviamente in un dialogo tra il malato, i medici, i familiari e gli amici. Il rifiuto dell’ostinazione irragionevole è previsto dal Catechismo della Chiesa Cattolica al paragrafo 2278.

Bisogna facilitare o no la morte di chi soffre?

È una domanda totalmente sbagliata posta così. È priva di amore, di ragione e di umanità. Nessuno deve facilitare la morte di qualcuno. La morte fa già da sé il suo “lavoro sporco”. Continui lei a farlo, non noi. Questa è eutanasia. Il problema delicatissimo è posto nei termini corretti proprio dal Catechismo: “L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire.

Chi decide?

Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente” (par. 2278). Per esempio le Disposizioni anticipate di trattamento del 2017 (legge 219/2017), hanno come caposaldo il consenso informato e il corollario del possibile rifiuto di una terapia salvavita, o di un trattamento di sostegno vitale. La scelta del paziente – da caso a caso, se si tratti di accanimento o di terapia proporzionata – può essere eticamente giusta o sbagliata, ma dal lato giuridico è escluso che gli si infligga a forza la terapia rifiutata. Chi vede in ciò una forma di eutanasia sbaglia alfabeto. Ed è bene che legga il Piccolo lessico per apprenderlo.

Ritiene che ad oggi le cure palliative siano sufficientemente utilizzate e sostenute?

Sappiamo, dagli studi compiuti nei Paesi dove sono stare rese legali eutanasia e suicidio assistito (Belgio, Olanda, Spagna, in Europa, ad esempio), che le persone malate in fase terminale chiedono di abbreviare la loro vita per la paura del dolore. Quando intervengono le cure palliative – fin dalla diagnosi! – allora la richiesta cala drasticamente, perché il dolore si contrasta e si migliora la qualità della fase finale della vita. Questo è il compito delle cure palliative, uno straordinario strumento medico e terapeutico. In Italia sono previste da una legge del 2010, ma sono troppo poco conosciute – anche dai medici, sembra un paradosso ma è così! – e troppo poco applicate, con una grande discrepanza tra centri terapeutici tra Nord, Centro e Sud Italia. Qui c’è un lavoro scientifico e culturale da compiere!

In Parlamento è in attesa di discussione una legge sul fine-vita. Qual è il suo auspicio?

Il tema della legge è delicatissimo. Non è certo compito della Chiesa elaborarla. Il Lessico volutamente non ne parla. Tuttavia sottolinea che l’eventuale dibattito è legittimo. Il mio personale auspicio è che ci sia un dibattito largo, che coinvolga non solo il settore della politica, ma le associazioni, la società civile, in modo ampio, per arrivare ad un testo sul quale possa aversi un consenso. Si parla del fine-vita di tutti, credenti, non credenti, credenti in altro modo.

Pur nel rispetto della capacità discrezionale del Legislatore, la Corte Costituzionale non è rimasta ferma.

La Consulta ha fissato alcuni princìpi che già rappresentano un equilibrio tra la difesa della vita, il rispetto della volontà del paziente, la concreta valutazione delle situazioni cliniche. Stiamo parlando di temi delicatissimi, che coinvolgono la vita e la morte delle persone, e una legislazione attenta oggi è necessaria. Altrimenti lasciamo la strada aperta per le sentenze dei tribunali, come sta accadendo, e a disparità di decisioni che si aggiungono alla già straziante disparità davanti alla morte e al dolore. Può esserci anche una parte del nostro mondo cattolico che non accetterà mai una legge, come oggi non accetta le due sentenze del 2019 e del 2024 della Corte Costituzionale. Ma qui c’è davvero un aspetto dirimente.

Quale?

Noi viviamo in società pluraliste e democratiche e come cristiani e cattolici sappiamo che potranno darsi delle leggi diverse da quello che crediamo come Chiesa. Che dobbiamo fare? Ritirarci nei nostri recinti rifiutando ogni dialogo? Oppure aprire delle strade affinché si raggiunga un equilibrio, difficile, ma rispettoso dei diversi convincimenti e in linea con le acquisizioni scientifiche? So che già queste parole suonano scandalose per alcuni settori intransigenti. Ma non si sfugge dalla storia.

(Federico Ferraù)

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