Alain Finkielkraut va all’attacco dei “cretini sorridenti” che alcuni indicano come “modello” per l’umanità post Coronavirus. Il filosofo francese esprime tutta la sua contrarietà al manifesto ambientalista di Nicolas Hulot, che propone di costruire un “nuovo mondo” basato sull’empatia, la benevolenza, il rispetto del Pianeta.



Finkielkraut non crede e nemmeno auspica una svolta buonista alla fine della pandemia di Coronavirus: “Il mondo che ci aspetta non sarà né migliore né peggiore. È sbagliato ragionare in modo così schematico”. La Repubblica ha contattato telefonicamente questo filosofo spesso controcorrente, vittima un anno e mezzo fa di un’aggressione antisemita da parte di un gilet giallo. Finkielkraut ritiene che in tragedie come queste “c’è una parte di assurdità e contingenza”.



Non crede che il Coronavirus sia la “vendetta” della natura contro l’umanità e non condivide nemmeno la ricerca di un colpevole a ogni costo: “Qualsiasi errore viene trasformato in crimine. C’è addirittura chi parla di una futura Norimberga del coronavirus. È aberrante. L’ho chiamato nuovo populismo penale“. Invita alla moderazione nelle critiche contro i governanti (“provate a mettervi al loro posto”), che in Francia gli sembrano davvero eccessive: “Siamo quel Paese che continua a voler decapitare i suoi re. È il lato oscuro della Rivoluzione accanto a quello luminoso della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo”.



FINKIELKRAUT: “NO AI CRETINI SORRIDENTI”

La pandemia di Coronavirus semmai ha insegnato che la scienza non è onnisciente, lavorando “in tempo reale” fra errori e correzioni, proprio come la politica di conseguenza. Lo preoccupa invece una collera spesso immotivata: “Oltre 12 milioni di francesi sono stati protetti da ammortizzatori sociali, molti di più che in Germania. Negli ospedali non è stata fatta nessuna selezione dei pazienti, tutti sono stati accolti”.

Eccoci dunque al passaggio forse più interessante dell’analisi di Finkielkraut, che critica i “cretini sorridenti” che credono in una trasformazione dell’umanità: “I cretini sorridenti sono quelli che pensano che ieri eravamo tutti cattivi e domani, passata questa terribile prova, diventeremo tutti buoni. Mi sembra di vedere i film di propaganda sovietica. Oggi c’è un kitsch dell’ecologia, e mi duole notarlo. Credo nella causa ambientalista ma non voglio che venga affidata a persone come Hulot o Greta Thunberg per cui la soluzione è eradicare il Male. La realtà non è così semplice. Ce lo insegna la letteratura. Prendete Flaubert, Proust, Svevo, Roth. I libri dovrebbero renderci impermeabili a questi incantamenti”.

La storia del Novecento secondo Finkielkraut deve insegnarci a “diffidare del sogno dell’Uomo Nuovo. Si ragiona come se tutto il passato dovesse essere liquidato. Da tempo rivendico invece il diritto alla nostalgia”.

FINKIELKRAUT: “MASCHERINE NASCONDONO BELLEZZA”

Finkielkraut in particolare ha nostalgia del silenzio, che era scomparso da vite frettolose e rumorose ed è invece tornato con il confinamento: “Dovremmo imparare a dargli spazio”. Nostalgia anche dei café, componente della civiltà europea: “Non si può immaginare la Francia né l’Italia senza i café”.

La vita culturale delle città, compresa Parigi, stenta a ripartire e Finkielkraut lo spiega così: “Già prima di questa crisi, avevo nostalgia dello charme della vita urbana che ha subito un colpo fatale con l’avvento dei cellulari. La poesia di Baudelaire dedicata all’incontro furtivo di sguardi con una passante oggi non sarebbe possibile. Adesso osservo che quel poco che restava dello charme urbano è stato deturpato dalle mascherine“. La critica naturalmente non è all’utilità dei dispositivi di protezione individuale nel corso della pandemia ma “non vorrei che diventasse un’abitudine come in Asia. Lasciatemi la nostalgia dei volti senza mascherine“, invoca il filosofo.

Il distanziamento, o meglio la distanza, non fa invece paura a Finkielkraut: “Dovremmo riscoprire il senso delle distanze. Un po’ di distanza aiuta la civiltà. Non significa che bisogna cedere alla virtualizzazione del mondo e rinunciare all’incarnazione di un incontro fisico”.