Fino a dove alcol e droga costituiscono il ‘lasciapassare’ affinchè un gruppo di ragazzi possano approfittarsi di una ragazza incapace di intendere e volere al momento dell’atto sessuale? Questo elemento gioca sempre un ruolo fondamentale soprattutto nella linea difensiva degli stupratori, facendo leva sull’apparente consenso della ragazza di turno. A nulla rilevando come le capacità psichiche della vittima potessero essere compromesse e offuscate sul momento. E spesso i violentatori la passano liscia proprio in questo modo, così come è successo di recente nella sentenza del giudice del tribunale di Firenze su un caso di violenza sessuale di gruppo.
I fatti risalgono a settembre 2018. La ragazza in questione, appena 18enne, si è ritrovata da sola con tre coetanei in una villa di un’amica, a La Rufina (Fi), e qui si sarebbe consumata la violenza di gruppo sotto l’effetto di droga e alcol di tutti e quattro. Una volta ripresasi la ragazza avrebbe raccontato tutto ad un’amica, sporgendo poi denuncia a marzo 2019 e puntando sul fatto di non aver acconsentito volontariamente al rapporto sessuale.
Non c’è violenza sessuale se il consenso è presunto
Adesso i ragazzi hanno 23 anni, e dopo 4 anni sono stati assolti dal giudice di Firenze Fabio Gugliotta. La pronuncia lascia perplessa l’opinione pubblica di fronte alla motivazione fornita: ‘errore sul fatto’. In pratica dal momento che la ragazza era anch’essa annebbiata da sostanze stupefacenti e alcol, non si sarebbe fermamente opposta all’atto sessuale. Ciò basterebbe per assolvere i coetanei. La circostanza del consumo di queste sostanze, compromettendo la facoltà della vittima e impedendole di poter esprimere un valido consenso, escluderebbe dunque la punibilità degli stupratori.
Gli avvocati dei due ragazzi, alla luce di questa pronuncia, si sono dichiarati soddisfatti come ha riportato il quotidiano La Nazione. I legali Neri Cappugi e Vincenzo Martucci, infatti, hanno spiegato come la formula dell’errore sul fatto sia applicata raramente, andando in questo caso a premiare il lavoro difensivo svolto, definendo la sentenza “pregevole in punto di fatto e di diritto”.