Come nelle migliori tradizioni, alla fine della pausa estiva, il grande motore del Fisco riparte o per meglio dire, non si è mai fermato, e già da fine luglio i potenti propulsori hanno dato il meglio girando a pieno regime. Pochi se ne sono accorti, in particolare i media, coinvolti nel dare informazioni riguardanti, purtroppo, ben più drammatiche notizie. Ma parliamone.
Sul fronte delle tasse si è registrato un agosto di fuoco. Il blocco delle riscossioni, adoperato per cercare di ricucire la crisi economica provocata dal Covid, soprattutto dal giorno 20 fino alla fine del mese, è pervenuto al capolinea. E così una gran mole di tributi sono caduti sulle teste dei contribuenti. Si è trattato di più di 160 adempimenti fiscali e ciò a dispetto di rinvii di consistenti termini a metà settembre sancito dal decreto Sostegni bis, già diventato legge.
Tra queste osservanze fiscali ricordiamo: il recupero delle rate nel 2020 della famosa “pace fiscale”; gli importi che inizialmente andavano pagati a febbraio e marzo dello scorso anno e già prorogati all’interno di “cure” sul disastro dovuto alla pandemia; la riacquisizione della frazione della rottamazione cartelle ter, che doveva essere liquidata entro maggio.
Di riscontro poi, su tutti questi adempimenti elencati, era indispensabile porre parecchia attenzione, poiché il non pagamento alla scadenza comporta (come sempre avviene) la decadenza della definizione agevolata. In più, in ordine sparso, sempre in agosto, si è dovuto affrontare la liquidazione di: Irpef, imposta di bollo, addizionali, cedolare secca, ritenute, Iva, Ires, Irap, imposta di registro e le imposte sostitutive. Inoltre un numero consistente di tipologie di tributi specifici riguardanti il settore bancario, finanziario, assicurativo e le operazioni con l’estero, e “chi più ne ha, più ne metta”…
Si dirà: per fortuna che agosto è passato. Disgraziatamente a settembre sarà quasi peggio. L’infernale marchingegno della riscossione è già in funzione. Si prevede, infatti, che gli organi statali preposti all’incameramento delle tasse dovrebbero ripresentarsi per notificare oltre 60 milioni tra cartelle e altri atti fermi dall’8 marzo 2020, data da cui è scattato lo stop per l’emergenza Covid. Brutte notizie per chi aveva cartelle già notificate prima della sospensione o piani di dilazione in essere: per costoro l’obbligo di mettersi in regola è fissato entro la fine di questo mese. L’unica cosa che si può sperare è che Governo e Parlamento possano predisporre degli interventi tampone, per aiutare i contribuenti.
Accanto a ciò, esiste un problema non da poco e mai risolto, che riguarda sì tutti noi, ma in particolare coloro che hanno a che fare più direttamente con la “galassia Fisco”. È ormai conclamato che il diluvio di tasse, tributi e balzelli, sempre più arzigogolati e che nel loro approccio risultano pressoché incomprensibili, mettono in forte difficoltà coloro che hanno il compito di operare e aiutare il contribuente: ci riferiamo ai Centri di assistenza fiscale, ma anche e principalmente ai commercialisti. Questi ultimi lanciano continuamente appelli al Governo affinché intervenga sempre di più con iniziative che vadano a soccorrere tale situazione, ormai sicuramente al limite, auspicando più di ogni altra cosa, delle adeguate dilazioni dei pagamenti.
In una delle ultime sollecitazioni, Matteo De Lise, presidente dell’Unione nazionale giovani dottori commercialisti ed esperti contabili, metteva in risalto il dilemma dell’ottemperare alla marea degli adempimenti fiscali ridotta nel tempo, ma soprattutto l’invito a un’urgenza nel tentativo di risolvere il problema, a questo punto inderogabile, nel considerare i prossimi impegni legislativi: “Questo dimostra come, nella prossima riforma del fisco, sia primario per tutti, contribuenti, professionisti e Agenzia delle Entrate, una riforma stessa del calendario fiscale. È indispensabile una programmazione equilibrata per rendere il fisco giusto e di facile comprensione a vantaggio di tutte le parti in causa, in primis per le casse dello Stato. Altrimenti si rischierà la paralisi”. Inoltre sul dilemma di una giusta valutazione della cartella esattoriale e senza una nuova definizione dei termini per le impugnative si rischia che “a settembre ci troveremo ad affrontare oltre sessanta milioni di cartelle esattoriali inviate da Agenzia delle Entrate Riscossione”. E poi conclude: “sarà veramente difficile fronteggiare questa mole enorme di notifiche tributarie che verranno recapitate a domicilio del contribuente. Occorre una task force operativa, che deve coinvolgere anche i professionisti, per pianificare la lavorazione delle nuove cartelle esattoriali, con l’obiettivo di assicurare l’incasso all’amministrazione finanziaria e una necessaria dilazione dei pagamenti”.
Le vicende descritte e i relativi appelli rappresentano solo la punta dell’iceberg: il tema vero, pressante è l’agognata riforma fiscale e nello specifico la revisione dell’efficacia dell’accertamento. Già due mesi fa il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, aveva posto il problema sulle inefficienze nel recupero delle imposte, che pregiudicano anche l’accertamento di chi non paga o paga. Così non va: si sono messe a nudo per l’ennesima volta le criticità che impediscono alla macchina del Fisco di aumentare i giri nel contrasto all’evasione. L’unica maniera per cambiare le cose, a detta di tutti, è l’approvazione immediata della Riforma della riscossione, correttamente chiamata “Riforma e giustizia fiscale”. Tale riorganizzazione del sistema, a detta di Ruffini, “è una priorità non più differibile proprio nell’ottica di dare maggiore credibilità all’accertamento e all’efficacia dello stesso”.
È palese che senza una provata attitudine a portar denaro nelle casse dello Stato e a incassare delle somme contestate, anche la “compliance” (conformità), termine di moda entrato nel dizionario “politichese”, si rivela inefficace nel più ampio obiettivo della lotta all’evasione.
Pare, per fortuna, che il dibattito sulla riforma non sia già finito nel dimenticatoio o quantomeno il Parlamento è consapevole delle difficoltà in cui versa il sistema del recupero coattivo di tasse e multe. Purtroppo, però, va rimarcato che nel corso degli anni non sono state fornite norme necessarie a far funzionare la riscossione, anche se alcuni spiragli attestano che nel passaggio dalle esattorie private al concessionario pubblico gli incassi di ruoli sono triplicati.
A prescindere da tutto, però, il vero gap, come già sottolineato in articoli precedenti in queste pagine, è costituito dall’infinita mole di crediti non riscossi: il cosiddetto «magazzino» contiene 930 miliardi da recuperare, gran parte dei quali non hanno tuttavia alcuna chance di ritornare nelle casse degli enti creditori, con la diabolica singolarità che gli uffici competenti alla riscossione, pur essendo a conoscenza dell’assoluta inesigibilità delle cartelle in questione, sono costretti a notificare lo stesso gli atti, per sottrarsi a contestazioni di danno erariale, con ingenti spese suppletive e aggravi, al fine di svolgere l’iter necessario.
È assodato che, se la riscossione non funziona, l’agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza non potranno mai sconfiggere l’evasione fiscale: questo e altro, già sottolineato, dimostra che la citata riforma deve, e urgentemente, modificare il sistema della riscossione e in più rendere credibile anche la prassi dell’accertamento.
Concludendo, bisogna essere sempre consapevoli che il problema dell’evasione fiscale è un’infamia da annientare: si parla di miliardi e tutte le azioni intraprese (digitalizzazione, scambio di dati fra enti, utilizzo adeguato dei social network, indagini a 360 gradi eccetera) non hanno dato nel tempo l’effetto desiderato. Hanno cioè solo scalfito, non iniziato a demolire.
Lo ripetiamo: il Governo e il Parlamento devono affrontare seriamente la specifica questione della riforma. Il paese non può più attendere.