Il tema della riforma fiscale è al centro del dibattito da decenni, ma non è mai entrato nelle aule parlamentari. Gli effetti delle riforme si misurano in un periodo medio lungo non compatibile con l’attuale visione della politica che appare interessata solo ai risultati dei sondaggi elettorali.
Di certo non è possibile affrontare oggi il tema poiché lo spazio è occupato dalla Legge di bilancio e dalle varie misure di sostegno in scadenza, con la necessità che non creino squilibri nelle finanze pubbliche. A complicare la formazione della manovra ci sono anche i tempi ristretti a disposizione del Governo Meloni dato il recente insediamento.
Le bozze circolate propongono interventi che vanno dall’energia al fisco. Una conferma delle anticipazioni fatte in campagna elettorale è la “rivisitazione” della flat tax. L’annuncio di un intervento sugli incrementi di reddito (flat tax incrementale) sta trovando la sua forma. Al momento l’intervento sembra limitato a essere applicato all’incremento di reddito fissato in 40 mila euro da misurarsi rispetto alla media del reddito conseguito nel triennio 2020-2022, ma solo per le partite Iva. Non è stato fissato alcun limite al reddito complessivo al quale potrà essere applicata, per cui la tassa piatta potrà essere utilizzata anche dalle partite Iva con soglie di fatturato importanti, e superiori agli 85mila euro del limite aggiornato per la flat tax generale degli autonomi.
Ben più corposo appare proprio l’intervento sul regime “ordinario” della flat tax con l’innalzamento della soglia di fatturato al quale sarà applicato che passa dagli attuali 65 mila a 85 mila euro. Il punto debole di questa costruzione è la possibile iniquità che potrebbe realizzarsi se non verranno introdotti correttivi. Per comprendere di cosa si sta parlando occorre spendere qualche parola sul meccanismo applicativo della flat tax. A oggi al fatturato interessato dalla tassazione piatta si applicano coefficienti di redditività fissati dalla legge (che vanno dal 40% all’82%). Entrando nella pratica ne consegue che al fatturato conseguito va applicato il coefficiente di redditività. Ad esempio, per un professionista che consegue un fatturato di 70 mila euro al quale si applica un coefficiente di redditività del 78%, il reddito da assoggettare a tassazione è pari a 54.600 euro con un’imposta di 8.190 euro.
Detta così potrebbe apparire iniqua rispetto ad altri redditi simili – lavoro dipendente e/o autonomo con fatturati superiori agli 85 mila euro – per i quali non si applica la tassa piatta. Il confronto, tuttavia, non può essere così superficiale. La tassazione complessiva, infatti, dovrebbe tener conto dell’impossibilità, per gli aderenti a questo regime, di detrarre/dedurre tutti gli oneri che passano dal quadro RP (spese mediche, interessi mutuo, ecc.), i costi che superano la soglia del forfait e soprattutto l’eventuale Iva connessa a questi costi.
È proprio questo ultimo punto forse quello che dovrebbe indurre a una riflessione volta a evitare il palesarsi di meccanismi distorsivi già visti con il superbonus, ovvero la mancanza della conflittualità tra contribuenti. All’esempio sopra descritto, infatti, si presume corrispondano 15.400 euro di costi. Laddove, infatti, fossero costi soggetti a Iva, ad esempio con aliquota ordinaria, la tassazione complessiva a carico del professionista aumenterebbe, per l’impossibilità di detrarre l’Iva, di 3.388 euro, determinando un’aliquota di tassazione pari al 16,5%. La determinazione dell’imposta complessiva dovuta dovrebbe tener conto poi come detto degli oneri non detraibili e non deducibili, ma ciò non è possibile da farsi in questa sede, perché andrebbe fatto caso per caso.
Un intervento sui costi consentirebbe di dare una risposta a chi obietta che si agevola oltre misura il reddito dei lavoratori autonomi che, vale la pena ricordarlo, è caratterizzato da incertezza che deve essere valorizzata per introdurre equità nel sistema. L’attenzione, dunque, andrebbe spostata su di un altro aspetto, ovvero se occorra o meno introdurre un sistema di conflittualità tra contribuenti la cui mancanza ha reso inefficiente il superbonus.
Tradotto in pratica, occorre verificare se la percentuale di costi forfettizzata deve essere accompagnata dalla necessità che sia supportata da un minimo di documentazione. Diversamente argomentando, infatti, si aprirebbe il fianco alle critiche dei detrattori della tassa piatta che la bollano come fonte di evasione per la mancanza di interesse a farsi fare fattura dai fornitori.
Senz’altro condivisibile appare la più volte annunciata tregua fiscale che, caratterizzata dal pagamento integrale delle imposte dovute, non è classificabile quale condono e favorirà, grazie a un’interessante dilazione temporale, i contribuenti in difficoltà interessati a risanare le posizioni fiscali deteriorate da due anni di Covid e dagli effetti del conflitto in Ucraina.
Profondamente contrastato, invece, è l’intervento di stralcio previsto per le cartelle esattoriali di basso importo, difficilmente esigibili alle quali sono connessi costi di riscossione superiori, spesso, all’ipotetico incasso. Quest’ultimo è un intervento auspicato da tempo anche dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate che tuttavia per motivazioni ideologiche rimane sullo sfondo.
Volendo trarre le somme, a oggi la manovra è un continuo di quelle già viste ovvero non ha una visione ma vuole solo dare risposte di parte. C’è da essere fiduciosi posto che la caratteristica di Governo politico che può durare per l’intera legislativa fa ben sperare per i prossimi interventi che potranno essere meditati e non guidati dalla scadenza di fine anno cui è legata la Legge di bilancio.
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