Ve la ricordate l’Isola di San Giulio “favoleggiata” da Gianni Rodari? Quella del Barone Lamberto, che aveva scoperto di poter restare in vita se qualcuno pronunciava costantemente il suo nome, e che alla fine era risuscitato dalla tomba? Ecco, a Fisher Island non c’è nulla di soprannaturale ma i suoi abitanti, o semplicemente chi ci lavora, in questi tempi di Coronavirus si possono considerare dei privilegiati. Intanto, anche loro sono miliardari: l’isola si trova all’estremo Sud di Miami Beach, la sua superficie è inferiore al Kmq e i residenti sono poche decine di persone, che nel corso degli anni hanno costruito. Il punto è che a Fisher Island, una delle località il cui livello di benessere economico è tra i più alti negli Stati Uniti, sono soliti trascorrere le vacanze personaggi illustri del mondo dello sport o dello spettacolo. Un esempio? Shaquille O’Neal, l’ex tennista Caroline Wozniacki – ora con il marito David Lee – Puff Daddy, Gloria Estefan, fino a Mel Brooks e Oprah Winfrey come riporta corriere.it. Proprietari di seconde, terze o anche quarte case: nei giorni del Coronavirus gli abitanti di Fisher Island si sono moltiplicati.
FISHER ISLAND, TEST AD ABITANTI E LAVORATORI
Il motivo è presto detto: in questo paradiso, dove sorgono campi da tennis e condomini, qualche villa e un campo da golf, una Spa e un centro benessere, si è deciso che chi transita sull’isola (i circa 400 lavoratori che vi si recano quotidianamente in traghetto) e chi ci abita permanentemente debba avere il tenore di salute migliore possibile. Qui l’età media, almeno dei residenti, supera decisamente i 60 anni: ecco allora che potremmo dire “potenza dei soldi” e, laddove il Barone Lamberto con le sue ricchezze si comprava la vita eterna, a Fisher Island hanno acquistato migliaia di kit rapidi per effettuare test allo scopo di verificare l’eventuale contagio da Coronavirus e lo sviluppo degli anticorpi. Non si tratta del tampone nasofaringeo cui siamo abituati e del quale si sente tanto parlare, ma di qualcosa di più: a fornirli è la clinica universitaria di Miami. Purtroppo, ma del resto era anche ovvio, la notizia non è piaciuta a chi negli Stati Uniti non si può permettere nemmeno il normale tampone: un altro elemento a supporto della netta discrepanza tra sanità pubblica e privata.
Il tema è scottante, ma l’Università di Miami ha già espresso la sua linea di difesa: naturalmente i venditori del test sono preoccupati dal fatto che questo atteggiamento possa essere considerato discriminatorio, e ha già emesso un comunicato dichiarando di aver fornito i test “in conformità con i nostri standard clinici, che sono progettati per soddisfare le esigenze di salute di tutte le comunità che serviamo”. Ovvero: tecnicamente il test può essere utilizzato da chiunque, ma la clinica si è affrettata anche a far sapere che non porta risultati attendibili al 100% (gli anticorpi si sviluppano dopo qualche giorno) e che, non trovandosi facilmente in distribuzione, ci sarà ora una corsa da parte della Food and Drug Administration per autorizzare la messa in commercio di altri tipi di test. Intanto a Fisher Island si godono la quarantena, potendo eventualmente avere una rapida conferma sullo stato di salute dei suoi occupanti: non è da tutti.