Se non è una vittoria, è quantomeno un pareggio fuori casa in un campo ostico e con tutto il pubblico contro. La metafora calcistica sembra efficace per descrivere la soddisfazione di Giorgia Meloni per l’esito della partita della Commissione europea. A gran voce aveva chiesto per Raffaele Fitto una vicepresidenza esecutiva e l’ha ottenuta. Sulle deleghe dirette Coesione e Riforme sono rilevanti, ma di sicuro poteva andare meglio.



La premier preferisce vedere il bicchiere mezzo pieno, e canta vittoria. Soprattutto si prepara alla fase 2 della battaglia europea, il voto di conferma nelle commissioni dell’assemblea di Strasburgo, dove amare sorprese non si possono escludere. Fra le tante si ricordino la bocciatura nel 2004 di Rocco Buttiglione e, nel 2019, della francese Sylvie Goulard.  Quello che Meloni lancia alla sinistra italiana è un guanto di sfida in piena regola: far prevalere gli interessi nazionali e sostenere Fitto, come Berlusconi e lo stesso Fitto fecero cinque anni fa con Paolo Gentiloni. Il PD, è il ragionamento, è il gruppo nazionale più numeroso nel PSE, difficile che i socialisti si discostino dalla posizione della delegazione italiana, qualora fosse favorevole al ministro pugliese.



Le cose, però, sembrano un filo più complesse. Fra gli europarlamentari italiani, pentastellati e AVS hanno già annunciato voto contrario. E il PD è sulla graticola, perché a livello di partiti europei sia i socialisti, sia i liberali partono da una posizione contraria a Fitto. Dalla sua però l’esponente di FdI ha la quasi totalità dei popolari, grazie anche ai rapporti coltivati in quasi dieci anni da europarlamentare. Una sua bocciatura provocherebbe una reazione del PPE sui commissari del PSE e di Renew, con il rischio di uno stallo clamoroso. È uno scenario talmente cupo da spingere von der Leyen a giocare d’azzardo e a dare a Roma quel che Roma ha chiesto (o quasi).



In un quadro politico continentale frammentato come non mai, la riconfermata presidente della Commissione europea ha tenuto in maggior conto la logica del peso dei singoli Paesi rispetto al posizionamento delle varie famiglie politiche. Ecco che le vicepresidenze (tutte esecutive questa volta) sono andate ai rappresentanti dei Paesi maggiori dopo la sua Germania, e cioè Francia, Italia e Spagna, oltre all’Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza (la estone Kallas) e a due esponenti di opposte aree geografiche, Finlandia per i nordici, Romania per il sud del continente. Che sia stato il peso dei Paesi il criterio più rilevante si è visto anche nella vicenda del commissario francese Thierry Breton, che nel rinunciare ha accusato von der Leyen di gestione verticistica del governo europeo. Macron non lo ha minimamente difeso, lo ha sostituito, dopo averlo confermato appena il 25 luglio scorso. E il suo successore, il ministro degli Esteri uscente Stéphane Séjourné avrà più deleghe del predecessore.

Sul piano interno, dopo l’auspicabile voto di conferma su Fitto, Meloni sarà a un bivio: scegliere fra nominare un nuovo ministro, o “spacchettare” le deleghe dell’uscente, affari europei, PNRR, Sud e fondi di coesione. La decisione verrà presa solo a tempo debito, e si interseca con il destino di altri ministri in bilico. Dopo la sostituzione lampo di Sangiuliano, una sorte simile potrebbe toccare a Daniela Santanchè, se l’11 ottobre dovesse essere rinviata a giudizio per reati che non hanno nulla di politico (falso in bilancio e truffa ai danni dell’INPS). Al contrario Matteo Salvini non si tocca, anche in caso di condanna nel processo Open Arms, verso fine ottobre. Questo sì è giudicato un processo politico, cui opporsi sino a sentenza definitiva. Fitto poi – se confermato dal voto delle commissioni dell’europarlamento – non dovrebbe dimettersi sino alla seconda metà di novembre. E questo darebbe tempo a Meloni di risolvere un problema alla volta, dal momento che la parola “rimpasto” continua a suscitare l’orticaria dalle parti di Palazzo Chigi. La maggioranza è solida, ma non si sa mai. Meglio non sfidare il destino e scoperchiare un pentolone che potrebbe poi scappare di mano e rivelarsi impossibile da richiudere.

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