Matteo Salvini, durante la puntata di “Quarta Repubblica”, ha preso un impegno, con tanto di firma su un documento, per introdurre l’anno prossimo una flat tax al 15% per alcune famiglie. Il vicepremier ha anche annunciato l’intenzione di fare in modo che le partite Iva e i braccianti con redditi fino a 100.000 euro paghino un’aliquota secca del 20% e ha anche aperto alla possibilità di varare un mix di flat tax e taglio del cuneo fiscale, in modo da trovare una sintesi tra le posizioni della Lega e quelle del Movimento 5 Stelle. Considerando anche l’intervista di Giovanni Tria, che a Repubblica ha parlato di riduzione o accorpamento delle aliquote Irpef per le classe medie, le proposte in materia fiscale sul tavolo del Governo, oltre ovviamente alla flat tax, sembrano essere variegate. Abbiamo quindi fatto un punto con Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano. 



Professore, cosa ne pensa di queste proposte di riforma fiscale sulla flat tax?

Credo che occorra avere presente alcune questioni. Anzitutto bisogna poter capire su chi ricadono le conseguenze di manovre relative all’intero gettito fiscale, senza dimenticare che la progressività delle imposte è importante non solo perché prevista dalla Costituzione. Cosa più importante è però un’altra: non si può fare un discorso solamente sulle imposte dirette, trascurando quelle indirette, a maggior ragione avendo presente la spada di Damocle delle clausole di salvaguardia. Dal mio punto di vista, l’intervento prioritario di politica economica è la crescita.



E concretamente ciò cosa significa?

Credo fermamente che se potessimo utilizzare i margini di risorse disponibili per migliorare le infrastrutture del Paese, noi riavvieremmo, lentamente, ma sicuramente, l’economia. Che complessivamente le imposte dirette e indirette siano squilibrate è noto, ma in questo momento un Governo dovrebbe individuare delle priorità. È chiaro che a chiunque piacerebbe vedere aumentare il proprio reddito, ma se ciò avviene perché c’è più lavoro, pagato meglio, è una cosa. Se il reddito aumenta perché ci sono meno tasse, ma la crescita dell’economia rimane quella che è, si corre invece il rischio di avere in tasca qualcosa oggi e di doverlo restituire domani.



È dunque sbagliato l’assunto per cui un minor carico fiscale aiuta la crescita dell’economia?

Quello che conta nelle decisioni economiche di spesa è il reddito permanente, un termine coniato da Milton Friedman per spiegare che una famiglia, un individuo, non pianifica le proprie scelte di spesa o di investimento sulla base di ciò che un Governo decide un anno, ma di quello che stabilmente potrebbe fare in futuro. Quindi guarda non al suo reddito oggi, ma a quello permanente, cioè depurato dai movimenti ciclici propri dell’economia e dall’alternanze dei governi che vanno e che vengono. 

Tutto questo per dire che cosa?

Che il reddito permanente oggi in Italia è basso e per aumentarlo occorre avere una politica che riporti stabilmente alla crescita. Immaginare che diminuendo le tasse oggi in breve tempo l’economia riparta è una scommessa rischiosissima. Mentre sarebbe una scommessa vincente il fatto che il Governo faccia grandi opere subito, sbloccando non solo cantieri, ma facendo anche opere di manutenzione di cui il Paese ha bisogno. Tutto ciò si traduce in lavoro, che viene pagato meglio, generando così reddito permanente.

Le grandi opere non sembrano però essere al centro dell’attenzione di una parte della maggioranza di Governo…

Se non cambierà qualcosa temo che continueremo a navigare a vista. Si faranno provvedimenti come il reddito di cittadinanza, che è espressione di un’idea encomiabile, ma che per essere ben realizzata ha bisogno di essere realmente implementabile. Dal mio punto di vista, in modo genuinamente decentrato. Tornando alle proposte di riforma fiscale, oggi non è nemmeno ben chiaro come verrebbero finanziate.

Un modo potrebbe essere rivedendo detrazioni e deduzioni fiscali, come pure il bonus da 80 euro in busta paga. 

Da un cambiamento di questo genere qualcuno guadagnerà, ma qualcun altro perderà e non necessariamente i ricchi, ma anche i poveri o il ceto medio che si vuole aiutare. Le situazioni sono troppo eterogenee. Deduzioni e detrazioni in molti casi rispondono a esigenze reali e si corre il rischio di togliere a chi ha realmente bisogno.

Non bisogna poi trascurare il fatto che l’Ue ha già fatto capire che monitorerà attentamente le nostre mosse in vista della Legge di bilancio. Bruxelles potrà condizionare le nostre scelte di politica economica e “limitare” la flat tax?

No, se lo facesse sarebbe una cosa veramente sbagliata. Un intervento sugli aggregati è un conto, un intervento sui provvedimenti è un altro. Bisognerebbe che quanto meno venisse fatta una distinzione tra spesa corrente e spesa in conto capitale. Mi lasci dire che dal mio punto di vista se vogliamo costruire il futuro del Paese dobbiamo investire sull’istruzione, così da costruire l’economia della conoscenza. La risorsa fondamentale sono i giovani qualificati che ci mancano. Dobbiamo investire; una spesa corrente diventa quindi spesa in conto capitale. Facendo una mossa di questo tipo il Paese crescerà di sicuro.

(Lorenzo Torrisi)