Anche la flat tax nell’era giallo-verde sembra un’araba fenice: che ci sarà ognun lo dice (anche chi non la ama, per esempio il M5s), come e quando nessun lo sa. Il Corriere della Sera ha scritto che i due esperti della Lega, Massimo Bitonci e Massimo Garavaglia, stanno cercando un escamotage per salvare la faccia e i conti pubblici. Di che si tratta? Di applicare l’aliquota mitica del 15% solo sui guadagni incrementali. Cioè su quel maggior reddito imponibile ottenuto nell’anno fiscale in corso rispetto all’anno fiscale precedente. In questo modo il costo stimato per il bilancio pubblico sarebbe di due miliardi, però Matteo Salvini potrà dire di aver avviato un percorso (cominciato già quest’anno con le piccole partite Iva) che proseguirà negli anni prossimi sia pur lentamente. Sembra l’uovo di colombo, ma il diavoletto come sempre si nasconde nei dettagli.



Questa flat tax incrementale rischia di aumentare le disparità e la confusione (mentre l’obiettivo dovrebbe essere esattamente il contrario). Si aggiunge una quota proporzionale a un’imposta che resta progressiva (insomma due regimi diversi) e non si capisce quanto l’impatto di questa nuova forma di tassazione riduca la progressività generale. Che succede a chi non guadagna di più in termini sia reali che nominali (visto che l’inflazione è sostanzialmente ferma)? In tal caso bisognerebbe pensare ad aggiustare detrazioni e deduzioni, rendendo ancor più fitta la giungla fiscale che la flat tax in teoria avrebbe dovuto ridurre se non proprio disboscare. Insomma, la trovata lascia immutati tutti gli interrogativi non risolti. Da questo punto di vista non serve dire che si andrà avanti a rate o a piccoli passi, perché lo squilibrio di fondo va chiarito e risolto subito, poi si potrà anche introdurre la riforma per gradi.



L’altra questione fondamentale riguarda l’impatto su una congiuntura economica che resta stagnante. Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha confermato che la crescita quest’anno sarà quasi certamente dello 0,1%, insomma il prodotto lordo resterà lo stesso del 2018, il che annulla ogni spazio di ulteriore spazio manovra. Il Governo ha raschiato il fondo del barile per evitare la procedura d’infrazione, in questo ha fatto bene perché una pesante sanzione da parte dell’Unione europea sarebbe stata tremenda politicamente, ma anche economicamente per il costo aggiuntivo prodotto da un nuovo balzo dello spread, non solo sui conti dello Stato, ma su quelli delle banche e, di conseguenza, sull’intero circuito creditizio. Non è rimasto più nulla da mettere in cascina per il prossimo anno che si preannuncia anch’esso sostanzialmente piatto.



Il Governo stima una crescita dello 0,7% e allo stato attuale più che una proiezione statistica è una beata speranza. In ogni caso, non sarebbe sufficiente per fornire risorse aggiuntive. Teniamo conto che pende sulla testa l’aumento dell’Iva (24 miliardi di euro) in seguito alle clausole di salvaguardia introdotte per chi non rispetta il percorso virtuoso verso l’aggiustamento delle finanze pubbliche. Ci vorrebbe, dunque, una bella spinta per uscire dal pantano. Una buona riforma fiscale potrebbe darla, grazie anche all’effetto sulle aspettative delle famiglie e delle imprese, purché non aumenti il deficit statale. Un ritocchino sui redditi incrementali non sarebbe che un buffetto sulla guancia di chi ha bisogno di uno schiaffone per uscire dal letargo. Gli esperti della Lega non possono non rendersene conto. La loro proposta avrebbe tra gli elettori l’effetto non di una marcia in avanti, ma di una vera e propria ritirata nient’affatto strategica. Come uscirne?

Non sta certo a noi suggerire una politica fiscale a ministri, sottosegretari, esperti, guru e incantatori, ma ragionando con il puro buon senso, vien da chiedersi se non è meglio lasciar perdere questa impuntatura su una flat tax che non è piatta e non lo potrebbe mai essere visto il vincolo costituzionale che impone una tassazione progressiva e non proporzionale, per ragionare invece su quella proposta che proprio Visco ha lanciato nella sue considerazioni finali all’assemblea della Banca d’Italia: una riforma organica delle imposte dirette e indirette che le semplifichi, ne riduca il numero e la specie, renda il fisco leggibile ed equilibrato, trovando le risorse per ridurre la pressione fiscale che poi è quel che conta davvero per l’insieme della economia.

Quali risorse? E dove trovarle? Dalla razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica, non ci sono alternative. È un dato di fatto che questo Governo non abbia intenzione di farlo, per una questione di principio non tanto per rassegnazione di fronte a una sconfitta che ha segnato quasi tutti gli altri governi. Non lo vuol fare per una semplice ragione: non perdere il consenso elettorale. I cinquestelle che mietono voti soprattutto al sud sanno bene che la spesa assistenziale è il pane e il companatico del candidato. La Lega che ormai amministra quasi tutto il nord non ha intenzione di ridurre i trasferimenti pubblici agli enti locali, nei quali s’annida il marcio della spesa corrente.

La battaglia sull’autonomia serve anche a questo. Lo stesso vale per il continuo ricorso ai condoni (adesso si parla di una pace fiscale bis) che ha l’obiettivo di aumentare le entrate per evitare di ridurre le spese. Il Governo del cambiamento ha ottenuto il consenso degli elettori attaccando la politica e gli sprechi del denaro pubblico, ora rischia di passare alle cronache come il Governo che ha più speso e sparso negli ultimi decenni, senza nemmeno ottenere una maggiore crescita economica e una migliore distribuzione dei redditi.