La confusione su cosa rappresenti la flat tax è conseguenza degli scarsi approfondimenti e dell’utilizzo che si è fatto della proposta. Spesso, infatti, è stata utilizzata come slogan elettorale da sbandierare o da demonizzare. È parziale attribuire alla flat tax il solo ruolo di strumento per pagare meno imposte. L’introduzione della tassazione forfetaria non è una vicenda recente, è stata caratterizzata da un gradimento crescente, è stata limitata nel tempo e rivolta alle imprese e/o professionisti di piccole dimensioni. La platea degli aderenti è passata dai 500 mila contribuenti del 2008 agli attuali 1,7 milioni e ciò ha inciso sull’intangibilità del dogma della progressività previsto dalla Costituzione.
La flat tax attuale è partita nel 2019 con l’innalzamento a 65mila euro della soglia di ricavi ammissibile e guadagna consenso sia tra le nuove attività che tra quelle già esistenti. Oggi la maggioranza assoluta degli imprenditori individuali e dei professionisti (con punte del 67%) adotta questo regime.
L’appeal è dovuto, oltre alla misura “inferiore” della tassazione, anche dal vantaggio di avere semplificazioni contabili. L’esonero dall’applicazione dell’Iva e dai relativi adempimenti è senza dubbio un vantaggio, oltre che costituire un risparmio. Un elemento che potrebbe connotarsi come negativo è la mancata deducibilità analitica dei costi che potrebbe costituire un disincentivo a richiedere la documentazione fiscale delle spese sostenute.
Questo aspetto potrebbe incidere sul contrasto d’interessi tra le parti del rapporto commerciale utile per combattere l’evasione fiscale, tema emerso con lampante evidenza nell’applicazione del superbonus. Il disincentivo potrebbe essere contrastato dall’utilizzo di forme di pagamento tracciato da ristorare con il cashback.
I detrattori del regime di tassazione piatta si interrogano sull’equità dell’istituto. Il dibattito in corso rende legittimo chiedersi, ma anche doveroso indagare, se la flat tax abbia favorito l’emersione di base imponibile che prima sfuggiva alla tassazione. La risposta pare sia positiva a entrambi gli interrogativi. Se l’equità non è uguaglianza, allora dare un vantaggio al popolo delle partite Iva potrebbe essere corretto. La diffusione della pandemia ha reso evidente che il settore privato, anche per quanto riguarda il lavoro dipendente, ne è risultato fortemente colpito ed è sempre caratterizzato, anche in periodi di non pandemia, da incertezza. La possibilità che la flat tax costituisca una compensazione per le minori tutele presenti in favore delle partite Iva potrebbe essere un elemento a garanzia dell’equità.
Ci sono studi che mostrano un’emersione del reddito assoggettato a tassazione piatta che pare abbia bilanciato il minor gettito rinveniente dalla tassazione ordinaria. Un approfondimento dovrebbe poter misurare i reali effetti della tassazione piatta. I redditi assoggettati alla tassazione piatta, ad esempio, non possono detrarre l’Iva sugli acquisti, per cui anche questa porzione di imposta finisce nel gettito netto dell’erario come avviene per i consumatori finali. A questo riguardo è utile ricordare che nel regime ordinario il gettito Iva a disposizione dello Stato è la differenza tra l’imposta pagata sugli acquisti e quella incassata sulle vendite.
Altro elemento da indagare è il minor esborso conseguente all’inapplicabilità al regime forfetario delle detrazioni e deduzioni di imposta. In quest’ottica una maggior efficienza potrà attuarsi attraverso il combinato disposto tra un parziale cashback e una revisione del sistema delle detrazioni fruibili in dichiarazione limitandole, in un’ottica di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica, a quelle strettamente utili e di elevato valore sociale: sanitarie, mutui, deduzioni per donazioni verso la ricerca e il Terzo settore.
Un approfondimento potrebbe far scoprire che la somma algebrica tra proventi della tassa piatta, maggiori incassi per Iva e i minori esborsi netti legati alle detrazioni e deduzioni fiscali finisca per compensare il minor gettito derivante dalla non applicazione della tassazione progressiva.
Il vero tema legato all’introduzione della flat tax è quindi quello della copertura finanziaria e di una sua corretta misurazione. Fermare il ragionamento alla conclusione secondo cui si avrebbe minor gettito è limitante. Il vero obiettivo da attribuire alla tassa piatta è quello di farla diventare una soluzione di contrasto dell’evasione fiscale che nel nostro Paese è stimata (da anni) sempre in (almeno) 100 miliardi di euro.
L’Eurispes in uno studio del 2018 (Eurispes, flat tax: misure per realizzare una riforma concreta) ha suggerito di avviare l’introduzione graduale della flat tax limitandola nella fase iniziale a quella parte di reddito che ci si “convincesse” a dichiarare in più rispetto a un periodo pluriennale di riferimento. La proposta è oggi sul tavolo essendo stata avanzata in campagna elettorale. Non si tratta di una novità assoluta, già il concordato preventivo introdotto dall’ art. 33 comma 7 D.L. 269/03 prevedeva un meccanismo simile. La tassa piatta, dunque, per diventare un solido strumento di politica economica dovrà passare per un percorso graduale, pragmatico e non preconcetto.
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