In base a un sondaggio condotto da Termometro Politico, alla domanda “Cosa pensa della proposta di introdurre la flat tax?”, il 38,9% degli italiani ha risposto “Sono a favore, sarebbe giusto, semplificherebbe e alleggerirebbe il fisco” e un altro 5,6% ha affermato “Sarei a favore, ma attualmente non è possibile introdurla, costerebbe troppo”. In pratica, a quasi un italiano su due non dispiacerebbe l’ipotesi di una tassa piatta. Al momento sul tavolo ci sono le proposte del centrodestra: la Lega vorrebbe una flat tax al 15%, Forza Italia al 23% e Fratelli d’Italia (più freddi sul tema) solo sui redditi incrementali. A sinistra invece si guarda con orrore a questa possibilità: è irrealizzabile, costa troppo, non è equa perché premia i ricchi. È davvero così? L’Italia non può permettersi una flat tax sostenibile?
“La flat tax è possibile e desiderabile – risponde invece Nicola Rossi, professore di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata ed esperto di materie fiscali – e deve essere un progetto di legislatura. Ai contribuenti va detto, subito e chiaro, che cosa si vuole fare, qual è l’obiettivo, con quali step e in quanto tempo, e quali le coperture necessarie. Non solo: bisogna sempre tenere presente che il sistema fiscale ha un suo equilibrio, che va mantenuto, altrimenti prima o poi salta tutto”.
Lei è convinto che una flat tax in Italia sia possibile e desiderabile. Perché?
È desiderabile perché l’attuale sistema fiscale ha raggiunto un livello di complessità tale per cui non consegue i risultati che un buon sistema fiscale dovrebbe conseguire in termini di efficienza e di equità. È ormai ingestibile. È quindi più che desiderabile porre mano a una profonda riforma fiscale.
E secondo lei questa profonda riforma può essere appunto la flax tax?
Sì. Non è più possibile immaginare che in Italia la redistribuzione debba avvenire attraverso il sistema fiscale: mi sembra che si possa tranquillamente affermare che questa scelta, operata molto tempo fa, non funziona, si è dimostrata tutt’altro che efficace, tant’è vero che quotidianamente gli italiani si lamentano del fatto che l’Italia non abbia i livelli di equità che vorremmo avesse. Forse è il caso di fermarsi e di domandarsi se la redistribuzione vera non avvenga attraverso il lato della spesa più che attraverso quello delle entrate.
Se così fosse?
Se la redistribuzione vera avvenisse attraverso l’istruzione, la sanità, un’assistenza ben organizzata, allora potremmo permetterci un grado minore di progressività del sistema fiscale. E da questo punto di vista la flat tax è una soluzione più che ragionevole. Ma c’è un altro punto importante, di carattere concettuale.
Prego.
La caratteristica della flat tax è che sostanzialmente fissa il limite superiore dell’aliquota Irpef.
In che senso?
L’aliquota della flat tax diventa l’aliquota massima a cui si può arrivare. Se, per esempio, avessi una tassa piatta del 25%, l’aliquota effettiva sarà zero per i livelli più bassi di reddito, perché è prevista ovviamente una no tax area, e poi crescerà gradualmente, piano piano, fino al 25%, e lì si ferma.
E il sistema progressivo, tanto caro alla sinistra?
Il sistema attuale potenzialmente non ha limiti. Provi a immaginare il sistema alla tedesca, che soprattutto a sinistra si vorrebbe introdurre nel nostro Paese: prevede infinite aliquote che crescono al crescere dei redditi, potenzialmente non ha limiti all’aliquota superiore. A mio avviso, invece, è giusto, è un principio molto sano fissare un’aliquota massima: significa porre un limite al prelievo dello Stato.
Lei ha più volte ribadito che una flat tax deve essere credibile. Che cosa significa?
Una profonda riforma del sistema fiscale ispirata alla flat tax inevitabilmente implica una perdita di gettito, perché se si va in questa direzione è anche perché si pensa, giustamente, che l’attuale pressione fiscale sia eccessiva.
Una perdita di gettito piccola o grande?
L’ordine di grandezza di questa perdita dipende esclusivamente dalla volontà politica a intervenire sul versante della spesa.
In concreto?
Se noi potessimo abolire gli oltre cento bonus che in maniera molto scriteriata abbiamo moltiplicato negli ultimi anni, già avremmo una fonte di finanziamento importante per riformare il sistema fiscale.
E la credibilità?
Affinché i contribuenti possano adattare i loro comportamenti a un nuovo ambiente fiscale, devono essere certi che quel nuovo ambiente fiscale prevarrà per i prossimi 20-30 anni almeno. L’ultima grande riforma fiscale è stata realizzata nel 1971: sono passati 50 anni. Ecco, gli italiani che avessero davanti un progetto serio di riforma fiscale debbono sapere che lo si fa oggi per tornare a parlarne nel 2070.
Può esserci una simile garanzia “politica”?
Perché questo accada la riforma deve presentare le coperture finanziarie, che si renderanno necessarie per via della perdita di gettito, da qui all’eternità. Non può essere una riforma fatta a debito e non può essere fatta sperando che il gettito aumenti miracolosamente negli anni a venire. Le coperture necessarie vanno individuate subito. Se poi il gettito aumenterà perché si azzera l’evasione o perché l’economia andrà benissimo, tanto di guadagnato.
Restiamo su questo tema delicato della riforma che deve essere interamente coperta. Ma così non potrebbe voler dire che non la si farà mai perché non potremmo mai permettercela, visti i nostri conti pubblici?
Non è affatto vero, è una questione di volontà politica. Ripeto: se si interviene seriamente sul versante dei bonus, lì lo spazio c’è, ed è grosso.
Può citare un esempio?
Le persone più abbienti, che oggi entrano in un ospedale pubblico senza pagare nulla, quanto meno potrebbero contribuire alla sanità pubblica versando allo Stato quello che verserebbero se si facessero un’assicurazione privata. Attenzione: non sto sostenendo la privatizzazione della sanità. Sto solo dicendo che se si andasse in questa direzione, si recupererebbero risorse rilevanti che consentirebbero un significativo abbattimento della pressione fiscale. Sia chiaro: non sono risorse che si trovano in una notte, la flat tax è un progetto di legislatura. L’importante, infatti, è guardare sempre al sistema fiscale nel suo complesso.
Esiste un’aliquota giusta per disegnare una flax tax efficiente ed equa?
Credo che esista un’aliquota praticabile e resto dell’idea che lo sia l’ipotesi, avanzata 5 anni fa, di un’aliquota unica al 25%.
Si può scendere al 23% come propone Forza Italia?
Si può fare, non credo che cambi molto.
E il 15% proposto dalla Lega la convince?
No, perché significa non voler fare la flat tax.
Addirittura?
È visibilmente una proposta che dal punto di vista finanziario non è definibile. E a dirlo è la relazione al disegno di legge presentato dalla stessa Lega, in cui si sostiene che, dopo la flax tax agli autonomi, la si estenderà a dipendenti e pensionati con alcuni limiti di reddito – operazione che costa 13 miliardi –, infine la si allargherà all’intero sistema, ma sul suo costo non si danno cifre. Non si fa così: o si rischia di fare solo interventi di favore ad alcune determinate categorie oppure è una flat tax non interamente coperta, quindi dal mio punto di vista non credibile.
È giusto procedere per gradi, per scaglioni di reddito, o la flat tax va introdotta a regime subito, senza vie intermedie, per tutti i contribuenti?
Nulla vieta che si ragioni per scaglioni di reddito, ma la mia preoccupazione è che di solito quando si impostano in tal modo queste operazioni, avanzando pezzetto per pezzetto, si realizza la prima parte, poi si fa anche la seconda, ma a un certo punto interviene – diciamo così – una fatica. La flat tax va definita con chiarezza in ogni suo aspetto fin dall’inizio. Poi si può pure procedere per stadi, ognuno dei quali però deve essere parte integrante di un esito finale, di un progetto unico e complessivo.
Resta il nodo delle tax expenditures, la giungla di detrazioni e deduzioni. Come intervenire?
Ci sono alcune detrazioni e deduzioni, per esempio i carichi familiari, che fanno parte della struttura stessa dell’imposta e non si può attingere lì per finanziare la riforma della flat tax. Ma ci sono centinaia di bonus che non hanno attinenza con la struttura fiscale, sono solo trattamenti di favore dati a questa o a quella categoria di contribuenti. Lì c’è una sola soluzione: vanno tolti tutti simultaneamente.
C’è chi dice che la flat tax è incostituzionale, perché non rispetta il principio della progressività. È così?
Ma di cosa vanno cianciando? La flat tax, associata a una no tax area, genera un’aliquota effettiva che cresce al crescere del reddito. Certo, è una progressività più moderata rispetto ad altri sistemi. Ma parlare di incostituzionalità è un’obiezione che può avanzare solo chi ha una scarsa conoscenza delle tematiche fiscali.
C’è anche chi teme che la flat tax sia iniqua, perché premia troppo i più benestanti. Come evitare questo rischio?
Spesso si tende a prendere in considerazione solo ciò che fa comodo, perdendo di vista l’insieme. Il bilancio pubblico va visto nella sua interezza. Vero che la flat tax avvantaggia ovviamente i redditi più alti, ma se simultaneamente si stabilisce che al di sopra di un certo reddito le persone devono pagare i servizi, come la sanità, si opera una compensazione, spostando così l’enfasi redistributiva dal gettito alla spesa.
(Marco Biscella)
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