“No al primato della finanza in Europa”: nel giorno in cui – fonte Bankitalia – il debito pubblico ha raggiunto ad aprile il nuovo record di 2.373 miliardi, è questo il messaggio di fondo che l’Italia, secondo il premier Giuseppe Conte, intende inviare nella lettera alla Ue, la cui stesura finale sarà oggetto di un nuovo vertice con i due vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio. E se dagli Stati Uniti il ministro dell’Interno ha ribadito che la flat tax si farà, anche il titolare dello Sviluppo economico e del Lavoro, riunendo i ministri pentastellati, ha confermato che sulla riduzione delle tasse, a vantaggio soprattutto dei ceti medi, il governo andrà dritto per la sua strada. “Resto fermamente convinto – afferma l’economista Antonio Maria Rinaldi, europarlamentare della Lega e del gruppo sovranista Identità e Democrazia – che il debito pubblico non si diminuisce con l’austerity, ma con l’aumento del Pil. Quindi la Lega è disposta ad andare fino in fondo nella battaglia per la riduzione fiscale. Il governo ha il supporto della maggioranza degli italiani e ha il sacrosanto diritto di procedere per il bene del Paese. Finora le regole imposte da Bruxelles non hanno fatto il bene dell’Italia”.



Anche nella lettera dell’Italia alla Ue, ormai quasi pronta, si chiederà all’Europa che non siano le logiche finanziarie a dire l’ultima parola. Che cosa significa in concreto “No al primato della finanza in Europa”?

Condivido pienamente l’espressione usata dal premier Conte, che credo sia più orientata sul modello con cui finora si è basata l’Unione Europea.



In che senso?

Cerchiamo, d’ora in avanti, di rimettere il cittadino e l’economia reale al centro dell’attenzione e non più il perseguimento esclusivo dei numeri e dei numeretti finanziari.

Potrebbe, per esempio, voler dire scorporare finalmente gli investimenti dal Patto di stabilità?

La golden rule è già prevista, ma non è mai stata realizzata. L’auspicio è che gli investimenti così liberati possano rilanciare il Pil.

Conte vuole scongiurare la procedura d’infrazione per eccesso di debito. Ieri, però, Bankitalia ha segnalato un nuovo record del debito pubblico italiano. Questo dato potrebbe complicare la trattativa con Bruxelles?



Innanzitutto mi preme ricordare che questa paventata procedura d’infrazione, per la prima volta legata all’eccesso di debito, creerebbe un pericolosissimo precedente anche per gli altri Paesi. Non so quindi fino a quanto sia disposta a spingersi l’Europa su questa strada, mai intrapresa, e soprattutto in un momento in cui la stessa Commissione è ormai in scadenza. Aprirla adesso sembrerebbe una sorta di ripicca verso l’Italia. Come ha detto qualche giorno fa Paolo Savona, dimostrerebbe un forte pregiudizio nei confronti del nostro Paese.

Salvini dagli Usa, ma anche Di Maio in una riunione con i suoi ministri, ha rilanciato con forza l’idea del taglio fiscale. Ma come convincere la Ue a lasciarci fare la flat tax?

Si tratta, appunto, di modificare un modello economico che ha dato finora solo grossi problemi all’economia italiana. Bisogna ribaltare il paradigma economico dell’Europa, che si basa sulla stabilità dei prezzi, cioè sul contenimento dell’inflazione, e sul rigore dei conti pubblici fino al perseguimento del pareggio di bilancio come presupposti alla crescita. Invece nel resto del mondo avviene il contrario: si punta su politiche espansive, compreso dunque il taglio delle tasse, che può aiutare a rilanciare i consumi perché nelle tasche dei cittadini resterebbero più risorse da poter spendere. Con effetti positivi, poi, sul gettito fiscale e sul Pil. In tal modo sarebbero meglio rispettati anche i numeretti tanto cari alla Commissione, cosa che in questi ultimi anni non è mai successa perseguendo solo ed esclusivamente le politiche di austerity.

Sarà inevitabile fare la flat tax in deficit? E ci si potrà spingere fino al 3%?

Fino al 3% del deficit è quanto previsto proprio da Maastricht. Il Fiscal compact, che prevede un percorso diverso, è solo un accordo intergovernativo, che avrebbe dovuto essere inglobato nei Trattati entro 5 anni, ma ciò non è avvenuto. Quindi, anche dal punto di vista prettamente formale, il Fiscal compact non è più applicabile. In secondo luogo, è giusto ricordare che sul tetto del 3% negli anni passati le deroghe si sono sprecate: ci sono stati Paesi che hanno violato questa regola anche di tre volte. Con l’Italia invece l’interpretazione è ferrea, perché viene messo sempre davanti lo spauracchio del rapporto debito/Pil.

Lo stesso Conte chiede che la riduzione fiscale avvenga tenendo in ordine i conti pubblici. Come si può trovare la quadratura del cerchio?

Se intendiamo avere il rapporto debito/Pil al 60%, così come previsto fin dai tempi di Maastricht, penso che per lungo tempo non avremo i conti in ordine, visto che siamo entrati nell’unione monetaria 27 anni fa già senza i conti in ordine.

Sulla manovra d’autunno aleggiano sempre le clausole di salvaguardia, che valgono da sole 23 miliardi. Il governo ripete che non ci sarà alcun aumento dell’Iva. Sarà davvero così?

O si modifica radicalmente il modello economico adottato e imposto dalla Ue o altrimenti non se ne viene fuori. Con questo tipo di imposizioni l’Italia non potrà fare nulla e lo si è dimostrato in questi anni con tutti i governi precedenti. Le clausole ce le portiamo avanti dal 2011 e già allora è stato un provvedimento demenziale di sudditanza nei confronti della Ue.

E oggi?

Credo che l’attuale governo abbia la legittimità di dare risposte ai cittadini italiani. La via che sta perseguendo è quella giusta e Salvini sulla riduzione fiscale ha pienamente ragione. Ma se la Ue pensa di ingabbiare ancora l’Italia con regole e regolette che non hanno dato nessun risultato positivo negli anni, evidentemente a essere in errore non sono gli italiani, ma sono le regole che non vanno bene.

Quindi la Lega è disposta ad andare fino in fondo in questa battaglia?

Certamente. La presunzione dell’Europa di uniformare in un unico modello tutte le economie è profondamente sbagliata, perché fa sì che alcuni Paesi ne traggano evidenti vantaggi e altri evidenti svantaggi. Perché noi – comunque, in ogni caso e per sempre – dobbiamo stare dalla parte degli svantaggi? Perché non provare a proporre soluzioni diverse?

Dove si possono trovare le risorse per la flat tax?

Con la flat tax, che dovrebbe costare non più di 12-13 miliardi per via anche della rimodulazione delle detrazioni, l’intento è quello di riformare il sistema fiscale italiano, uno dei peggio articolati al mondo, così da rilanciare i consumi e dar vita a un progressivo riassorbimento del deficit. Dare regole semplici e un taglio delle imposte per lasciare più risorse a cittadini e imprese penso sia un intervento più che positivo. E questa prima riforma di tassa piatta significa anche rivedere gli 80 euro di renziana memoria, da cui si potrebbero ricavare una decina di miliardi. E altre risorse arriveranno anche dalla pace fiscale, che non è assolutamente un condono.

Come verrà modulata la flat tax? Interesserà i redditi famigliari fino a 55mila o fino a 65mila euro?

Dopo le partite Iva, ora l’idea è quella di estendere la tassa piatta ai lavoratori dipendenti. La fascia di contribuenti più ampia, circa 28 milioni di persone, è quella fino a 50-55mila euro di reddito. Per quanto riguarda i dettagli, sono allo studio da parte degli uffici tecnici diverse opzioni, perché ciascuna muove ovviamente risorse all’insù o all’ingiù. È prematuro parlarne, perché questi dettagli saranno definiti anche in occasione del dibattito e dell’approvazione in Parlamento, dove saranno oggetto di emendamenti e miglioramenti.

Anche l’esito della trattativa con l’Unione Europea, cioè in base a quanto budget avremo a disposizione, influenzerà la modalità con cui verrà estesa la flat tax ai lavoratori dipendenti?

Sicuramente, non è che non potremo tenere conto del giudizio europeo. Però è anche vero che alla buona volontà dell’Italia di tenere conto delle esigenze bilancistiche della Ue, anche l’Unione Europea dovrebbe dimostrarsi più disponibile a un’apertura per giungere a un compromesso, come peraltro è sempre avvenuto con gli altri Paesi. O dobbiamo dare ragione a Savona quando dice che c’è un pregiudizio nei confronti dell’Italia?

(Marco Biscella)