La trattativa con la Ue sulla possibile procedura d’infrazione sta entrando nel vivo: da Bruxelles soffiano sul collo dell’Italia, mentre il ministro Tria si dice convinto che non si arriverà alla sanzione. In questo quadro, Lega e M5s tornano a bisticciare, duellando su flat tax, riduzione del cuneo fiscale e salario minimo. E anche all’interno della Lega si aprono piccole crepe, come lo scambio di battute tra Giorgetti e Borghi sui mini-Bot. L’unica costante di queste ultime settimane è la determinazione con cui Matteo Salvini vuole tagliare le tasse. “O la flat tax ora o mai più” ha ripetuto ancora ieri, ribadendo che la riduzione fiscale va realizzata entro l’estate. Come mai tutta questa fretta? È un segnale di insofferenza che potrebbe poi sfociare anche in una richiesta di elezioni anticipate? “La flat tax – risponde Guido Gentili, editorialista del Sole 24 Ore – per Salvini è diventata la pietra angolare del confronto di queste settimane. La usa per tastare i rapporti con il M5s e con lo stesso premier Conte, che negli ultimi giorni è un po’ scomparso dall’orizzonte, impegnato com’è nella mediazione con la Ue per cercare di evitare la procedura d’infrazione. La flat tax è la bandiera che Salvini ha sventolato sia prima, ma soprattutto dopo il suo viaggio negli Usa, dove la tassa piatta è una ricetta tipica dell’economia, e sulla quale vuole giocare la sua partita. Ma c’è un fatto di cui tenere conto”.



Quale?

Dal punto di vista del calendario politico, siamo ancora in una “zona” in cui c’è da scavallare la scadenza del 19 luglio, se si vogliono evitare le elezioni anticipate a settembre.

E cosa può succedere in questa fase?

Da qui al 19 luglio l’iniziativa della flat tax può essere messa in campo da Salvini per “sollecitare” e verificare la tenuta della maggioranza e, se del caso, avere – diciamo così – una pistola sul tavolo con cui far naufragare l’esperienza di governo. Tutti guardano al 19 luglio, perché se si supera quella data, si apre un nuovo orizzonte.



Ma Salvini potrebbe davvero essere tentato di andare al voto anticipato per raccogliere quel consenso massiccio di cui è accreditata la Lega, come si è visto anche alle elezioni europee?

Non credo che Salvini abbia già deciso se rompere l’attuale quadro politico. Siamo in una fase di studio. Resta il fatto che la flat tax resta la bandiera su cui imbastire una campagna elettorale pesante, per andare a incassare sul piano nazionale i voti che ha già raccolto il 26 maggio scorso. Occorre però tener conto del fatto che i rapporti di forza in Parlamento vedono ancora la Lega minoritaria rispetto ai Cinquestelle.



C’è il timore che sulla riduzione fiscale, oggetto di un confronto con il M5s, che preferirebbe insistere su salario minimo e taglio del cuneo fiscale, possa scattare una sorta di imboscata parlamentare?

I Cinquestelle in questo momento sono sotto pressione, perché alle europee sono usciti sconfitti e perché lo stesso Di Maio è in difficoltà al proprio interno, e quindi hanno dovuto lasciare il campo a Salvini dal punto di vista dell’iniziativa politica. I numeri in Parlamento, però, sono ancora dalla loro parte, hanno in mano il pallino e potrebbero contare molto nel momento in cui non ci dovesse essere più lo spettro delle elezioni anticipate. Salvini lo sa bene.

Intanto tra coperture della flat tax, mini-Bot e salario minimo, Lega e M5s sono tornati a punzecchiarsi a vicenda. Rivedremo lo stesso film cui abbiamo assistito nei mesi precedenti al voto europeo? Ci aspetta una nuova, lunga campagna elettorale continua?

Questo è il grande rischio. Da un lato, abbiamo i circa 6 miliardi di extra costo legati all’introduzione del salario minimo, misura peraltro molto contestata non solo in Italia, ma anche in Europa; dall’altra, per la flat tax parliamo di cifre che oscillano come minimo tra i 10 e i 15 miliardi. Queste sarebbero oggi le due armi in mano ai due contendenti per continuare sul terreno di una campagna elettorale permanente. Certo, rispetto a quello che è successo prima delle europee, adesso il quadro è cambiato.

Perché sono cambiati i rapporti di forza tra Lega e M5s?

Soprattutto perché c’è in corso un’ipotesi di procedura d’infrazione a livello Ue per eccesso di debito; quindi continuare a fare una campagna elettorale sul terreno della spesa e del deficit è più complicato, specie se tutto ciò andrà a incrociarsi con la Legge di bilancio 2020. Per l’Italia si potrebbe presentare un periodo tempestoso.

Conte, solo un mese fa, aveva richiamato i due vicepremier a ritrovare un’unità d’intenti per rilanciare il Contratto e l’azione di governo. Missione fallita? E oggi Conte si ritrova più debole?

La prima missione in Europa di Conte non ha sortito risultati travolgenti, visto che la posizione dell’Italia è apparsa ancora abbastanza isolata. E anche il richiamo ai due vicepremier a mediare tra le loro posizioni mi pare sia caduto nel vuoto. Di Maio e Salvini infatti continuano nella loro contesa bilaterale, un dato di fatto “genetico” di questo governo, nato su una formula molto atipica, un contratto di governo, e su un premier non parlamentare con la funzione di garante. Ma anche su questo fronte il ruolo di Conte mi sembra più debole. E in Europa si sono accorti che è stato Salvini ad andare in missione diplomatica negli Usa, uscendo con le dichiarazioni che sappiamo. A Bruxelles non possono non tenerne conto.

Se lei avesse in mano un termometro, oggi qual è la temperatura dell’alleanza di governo? 

Fino al 19 luglio siamo destinati a vedere una serie di stop and go, perché il M5s non ha alcun interesse ad andare al voto, mentre la Lega potrebbe essere tentata. Tra flat tax e salario minimo sarà un ping-pong serrato, con il rischio che negli ultimi giorni aumentino sia la velocità degli scambi che la pressione dei colpi sulla pallina. Alla fine, poi, toccherà a Salvini la responsabilità di rompere. Attrezziamoci a temperature crescenti.

La novità di questi giorni è che ora si “litiga” anche nella Lega. Come la vede?

Per rispondere con una battuta, potremmo dire che c’è anche un po’ di gioco delle parti, tipo il poliziotto buono-il poliziotto cattivo. Resta però il fatto che su un fronte c’è un’ala rappresentata dalla coppia Giorgetti-Garavaglia, più filogovernativa anche se molto insofferente con i Cinquestelle e con lo stesso Conte e più attenta alla compatibilità dei conti pubblici, e sull’altro si posizionano Borghi, ideatore dei mini-Bot, e un po’ più prudente Bagnai, che sono critici con l’Europa.

E Salvini da che parte sta?

Salvini si barcamena tra i due.

La querelle sui mini-Bot tra Giorgetti e Borghi come si spiega? È un segnale alla Ue prima che decida definitivamente sulla procedura d’infrazione contro l’Italia? È il tentativo di Giorgetti di smarcarsi da un certo euroscetticismo per giocarsi meglio le sue carte nella candidatura a prossimo commissario Ue? È un invito a Salvini a non scherzare sui conti con l’Europa?

Darei più credito alla seconda e alla terza ipotesi. Da un lato, Giorgetti vuole tenere aperti i canali per un’eventuale sua nomina a commissario Ue e dall’altro esprime la volontà di sottolineare all’interno della Lega e allo stesso Salvini che sul terreno del confronto con la Ue sui conti, visto poi che siamo nel pieno di una trattativa delicata, non si può scherzare più di tanto. Più che un altolà, è la conferma di una posizione storica assunta da Giorgetti sui temi europei.

Ieri Di Maio ha detto al Corriere della Sera che “se cade il governo si apre la strada ai tecnici”. È davvero così?

Non avendo alcuna intenzione di andare al voto, Di Maio rispolvera questa idea del governo tecnico, che non piace ai Cinquestelle, ma soprattutto non piace nemmeno a Salvini. Non credo però che ci siano le condizioni per una soluzione alla Monti, come nel 2011. Il quadro è profondamente diverso e comunque l’iniziativa spetterebbe al presidente della Repubblica. Si aprirebbe una fase complicata di negoziazioni e consultazioni. Con lo scenario delle elezioni anticipate si aprono tante possibili soluzioni, però non ci sono i presupposti per un governo tecnico come lo intendiamo in senso classico.

Perché?

Basta guardare all’esito del voto del 4 marzo 2018 e del 26 maggio scorso: non c’è un mood favorevole a un governo tecnico. A meno che non sia un governo del presidente o di garanzia, in carica per un periodo limitatissimo, in vista di elezioni ravvicinate. Ma non certo con un raggio d’azione, specie in campo economico, come il governo Monti.

(Marco Biscella)