Studiare all’università, laurearsi e poi prendere un master in carcere: tutti questi possono essere fattori potenzialmente pericolosi in grado di affermare la capacità criminale del detenuto. La pensa così un’ordinanza di un tribunale di sorveglianza espressosi durante il lockdown nel 2020 e sulla quale interviene Giovanni Maria Flick su la Stampa. Per il giurista, già ministro della Giustizia del governo Prodi I e presidente della Corte Costituzionale dal 2008 al 2009, si tratta di uno «sconcertante e inutile attacco al diritto allo studio», che peraltro «discende dal dovere costituzionale per la pena di tendere alla rieducazione, secondo l’articolo 27 della Costituzione».



Questa ordinanza è stata per questo inviata alla Corte europea dei diritti dell’uomo, non per la decisione che respinge le richieste del detenuto di differimento della pena di detenzione domiciliare, ma proprio per i risvolti di questa ordinanza. Giovanni Maria Flick ricorda che «l’accesso all’istruzione era considerato sin dal primo regolamento del carcere nel 1891 un obbligo e/o un premio». Venne confermato nel Nuovo Regolamento del 1931, anche se nell’ottica delle “tre medicine”: «religione, lavoro, istruzione, funzionali alla finalità emendativa, afflittiva e intimidatoria del regime carcerario fascista».



“SI USA CARCERE PER RISOLVERE PROBLEMI E PAURE…”

Nell’excursus di Giovanni Maria Flick si fa tappa al 1948, quando istruzione e cultura carceraria diventano «fondamentali nella concezione polifunzionale della pena delineata dall’articolo 27 della Costituzione in sinergia con il divieto di trattamento del condannato contrario al senso di umanità». Di fatto, il percorso verso una giustizia “riparativa”, in grado di responsabilizzare l’autore del reato, è lungo, ma comunque l’articolo 27 della Costituzione è chiaro: si riconoscono i diritti fondamentali a tutti e l’eguaglianza formale di fronte alla legge, «ma anche e soprattutto la pari dignità sociale, fondamento della convivenza e della comunità, attraverso la solidarietà». Pari dignità sociale, quindi, anche per i detenuti, spiega il giurista, secondo cui «spetta alla Repubblica rimuovere gli ostacoli di fatto (ma ora sempre più anche di diritto) che limitano libertà e eguaglianza, cioè la dignità». Non sono aspetti di poco conto, ma principi fondamentali su cui crescono i diritti e si sviluppa la Costituzione.



Per Giovanni Maria Flick l’ordinanza in questione «è il sintomo preoccupante di una situazione in cui si va generalizzando l’uso del diritto penale in generale e il ricorso in esso alla pena del carcere (minacciata e/o eseguita) non come extrema ratio, ma come strumento ordinario per risolvere (o pretendere di farlo) i problemi e le paure della collettività». Anzi per il giurista la cultura deve entrare sempre di più nel carcere e questo deve entrare sempre di più nell’universo della cultura che non ha muri. «Penso, infine, che mentre lo Stato con la App18 si propone di offrire ai giovani uno stimolo per la cultura, forse sarebbe importante che un segnale analogo, con le ovvie e dovute differenze, venisse offerto al carcere e ai suoi abitanti», conclude Flick.