Non è solo uno “scontro” tra giornali, come se ne vedono tanti specie sull’asse “garantismo-giustizialismo”: la netta presa di posizione de “Il Riformista” contro il “Fatto Quotidiano” sul caso Eni-Nigeria prova a ricostruire da lontano il perché di una martellante campagna mediatica contro i vertici dell’Eni durante i mesi del processo, con tesi dei vari Amara e Armanna prese per buone e solo con le incredibili novità emerse nelle ultime settimane, definitivamente “smontate”. «Con il senno di poi era inevitabile che la Procura di Milano, lo scorso novembre, non cogliesse l’inaspettato contributo info-investigativo da parte del Fatto Quotidiano nel processo Eni-Nigeria», scrive Paolo Comi introducendo il lungo pezzo di “accusa” al quotidiano diretto da Marco Travaglio.



È in quei giorni in cui emerge per la prima volta la “voce” su un video messo a verbale e depositato dalla Procura di Milano sulla presunta registrazione effettuata in maniera clandestina dall’avvocato Piero Amara. Si è poi scoperto nelle motivazioni della sentenza finale di assoluzione dei vertici Eni (Claudio Descalzi e Paolo Scaroni) che in quel video Amara riprendeva l’avvocato Armanna, principale teste dell’accusa sul caso Eni nonché ex manager dell’azienda licenziato per falsi rimborsi spese, intento a vendicarsi nei confronti dei suoi ex capi. Solo due giorni più tardi Armanna si presentò in Procura per denunciare i presunti episodi correttivi dell’Eni, aprendo il vero e proprio processo concluso solo ad inizio 2021. Nonostante questa prova, i giudici De Pasquale e Spadaro non hanno inserito nelle carte processuali nulla di tutto ciò e per questo motivo ora vengono indagati dalla Procura di Brescia.



DELLA MAXI INCHIESTA DEL FATTO COSA NE RIMANE?

“Il Riformista” però si concentra sul possibile aiuto dato dal “Fatto Quotidiano” ai pm milanesi: «Antonio Massari in un articolo del primo novembre 2020 raccontò di aver visionato una chat prodotta da Armanna e firmata dall’attuale numero due di Eni, Claudio Granata». In quella chat il n.2 di Eni invitava Armanna a non fare mosse avventate sostenendo che «Eni può certamente distruggere chiunque in Italia»: in realtà poi la stessa multinazionale rispose spiegando come «Descalzi e Granata avessero presentato querela per diffamazione a carico di Armanna». 6 mesi in anticipo di quanto poi i giudici scriveranno nella sentenza di assoluzione, la stessa Eni già spiegava al “Fatto” che «le dichiarazioni e le accuse avanzate da Armanna nel corso del procedimento Op1245 si siano dimostrate false e smentite da fatti e testimonianze processuali, e come siano emerse prove inconfutabili sulla sua intenzione di manipolare a livello giudiziario vicende legate al giacimento per colpire il management di Eni e trarne vantaggi economici personali». La chat però invece che rimanere “isolata” viene inserita nel libro di Massari “Magistropoli” suscitando un nuovo scontro Eni-Fatto Quotidiano: «Prendiamo atto che l’autore, e di conseguenza il giornale, preferiscono dare credito a una fonte, Vincenzo Armanna, che nell’ambito del procedimento Op1245 ha dimostrato la propria totale inattendibilità e del quale i fatti hanno provato le menzogne dichiarate per interessi personali», scrive ancora l’azienda, come riporta oggi “Il Riformista”. In sostanza, l’accusa di Comi è che quella chat (come in generale le altre accuse contro Eni) fosse un sostanziale «tarocco»: i numeri di Descalzi e Granata inseriti in quella chat inizialmente “clamorosa” si sono rivelati incredibilmente falsi. Come spiega il Corriere della Sera, Il pm Paolo Storari (lo stesso che consegnò i verbali di Amara sulla Loggia Ungheria all’ex consigliere Csm Davigo in protesta contro la Procura di Milano che non prendeva posizione sul teste del caso Eni, ndr) infatti «si fece dare da Armanna il telefonino, mai sequestrato negli anni e «con una semplice interrogazione dall’anagrafe del gestore telefonico appurò che Descalzi e Granata non avevano mai avuto tali utenze».

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