Ieri il dipartimento del lavoro americano ha pubblicato i dati sul mese di aprile; il mercato del lavoro ha inaspettatamente rallentato con un incremento del numero di occupati molto inferiore alle attese. Ci si attendeva quasi un milione di nuovi occupati mentre il numero si è fermato a 277mila. Tra le ragioni di questa delusione spicca un fenomeno visibile già da diverse settimane: molte imprese americane segnalano grandi difficoltà a riempire le posizioni di lavoro aperte perché molti potenziali lavoratori sono disincentivati dai massicci aiuti che il Governo americano ha varato dall’inizio della pandemia.
Molti ricevono più soldi in sussidi di quanti non ne guadagnerebbero venendo assunti oppure la differenza non giustifica l’inizio di un’attività lavorativa. Secondo uno studio dell’università di Chicago, il 42% di chi riceve sussidi prende più soldi di quanti ne guadagnava nelle precedenti occupazioni prima che arrivasse la pandemia,
Nei prossimi mesi, con il proseguimento della campagna vaccinale, la riapertura delle scuole e la fine dei sussidi questo fenomeno dovrebbe rientrare, ma oggi incide sia sulla velocità della ripresa limitandola, sia sulla disponibilità di beni sul mercato, sia sui prezzi. Il fenomeno è talmente grave che in alcuni Stati americani si è verificata la chiusura di distributori di benzina non per mancanza di petrolio, ma per l’impossibilità di trovare abbastanza autisti e conducenti di autobotti. Il problema è poi particolarmente sentito tra le piccole e medie imprese che sono state messe in crisi dalla pandemia molto di più delle grandi sia perché obbligate a chiudere, sia perché oggi si presentano ai potenziali occupati come più rischiose.
Il problema è politico. La prima parte del problema è relativa alla continuazione dei sussidi e alla velocità con cui verranno rimossi. Se venissero mantenuti per troppo tempo i problemi che oggi ci sono sul mercato del lavoro e quelli sui prezzi non solo continuerebbero, ma diventerebbero peggiori e più difficili da gestire; la loro rimozione invece causerebbe comunque molti scontenti. Il secondo problema è sui prezzi. Le aziende oggi non riescono assumere se non offrendo salari “troppo alti” e comunque faticano a produrre tutto quello che vorrebbero limitando l’offerta. Tutto questo si trasferisce sui prezzi alimentando quel fenomeno inflattivo ormai visibile da molte settimane e che non accenna a rientrare. In un mondo “normale” che funziona come sempre l’incremento dei salari potrebbe portare inflazione buona, ma nel contesto attuale con milioni di persone che rimangono ai margini del mercato del lavoro l’incremento dei prezzi colpisce la classe media che già subisce gli effetti “asimmetrici” delle politiche delle banche centrali nella misura in cui alimentano bolle sui mercati finanziari o su quello immobiliare.
Il rischio è che tra qualche mese, in piena estate, il problema dei prezzi e del mercato del lavoro possa esplodere e diventare l’occasione di un dibattito ideologico tra lo scontento di larghe fasce della popolazione in una società ancora profondamente divisa tra democratici e repubblicani e non solo. Rimuovere i sussidi non porterebbe le lancette indietro perché nel frattempo i prezzi sono saliti per tutti e servirà tempo per migliorare l’offerta in molti settori. In una società divisa politicamente risolvere questi problemi è ancora più complicato e forse non si può essere particolarmente ottimisti nemmeno sulle capacità di un Presidente un po’ opaco.
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