Davanti alla promessa del premier Draghi di raggiungere le 500mila vaccinazioni al giorno, nei tre giorni di Pasqua, da sabato a lunedì, se ne sono effettuate molte meno: circa 111mila sabato, 92mila domenica e 124mila lunedì. Siamo indietro in modo palese rispetto alla maggior parte dei paesi del mondo: in 100 giorni di campagna vaccinale siamo a quasi 3 milioni e mezzo di immunizzati (il 6,8% della popolazione over 16), ma appena l’11% degli ultrasettantenni ha ricevuto la prima dose e solo l’1,87% anche quella di richiamo. Non solo: aumenta la sfiducia nei confronti di AstraZeneca, tanto che non sono pochi i casi di chi si rifiuta di farselo somministrare.
Secondo il professor Antonio Clavenna, dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, “è possibile che il personale coinvolto nella vaccinazione, sottoposto a un impegno notevole, abbia preso un momento di pausa: è comprensibile e non è scandaloso che ciò sia avvenuto. È invece appurato che fino a oggi il problema che ha causato il basso numero di vaccinazioni sia stata la scarsa disponibilità di dosi”.
Si parla di flop vaccinazioni a Pasqua. La causa è la mancanza di vaccini, il periodo festivo o si sono sbagliati i calcoli bruciando le scorte per le seconde dosi?
Credo che in realtà, ma è un parere personale, la causa vera sia dovuta al fatto che eravamo in presenza di un periodo di ponte festivo, per cui soprattutto domenica è stato forse il giorno più critico. È vero che in questa fase bisogna vaccinare anche nei giorni festivi, tuttavia in qualche modo è anche comprensibile che il personale, da tempo fortemente impegnato, possa anche prendersi un giorno di pausa. Non tutti certamente, infatti un certo numero di vaccinazioni sono state eseguite. Non è quindi successo qualcosa di così scandaloso.
Però la gente si aspetta la vaccinazione di massa…
L’importante è che nell’arco dei giorni venga incrementato il numero di vaccinazioni. Credo sarà possibile aumentando le dosi disponibili. Nelle prossime settimane dovrebbero arrivare i sieri di Johnson&Johnson e avremo una quantità di dosi che consentirà un numero di vaccinazioni in costante aumento.
I governatori delle regioni lamentano sempre la mancanza di dosi. La gente è confusa, si domanda quanto i piani vaccinali regionali possano pesare sul ritardo generale. Lei che ne pensa?
Fino ad oggi il limite principale è stata la disponibilità delle dosi. Dopo di che c’è stato un problema originato dallo studio per il vaccino AstraZeneca che aveva dei limiti.
Quali?
Il fatto che la popolazione inclusa nello studio era una popolazione giovane-adulta. Questo ha comportato una problematica nel momento in cui si è tenuto conto della popolazione da vaccinare. In Italia, e non solo, gli esperti hanno sottolineato come in presenza di pochissimi casi di popolazione anziana, quella a maggior rischio di contagio, fosse consigliabile somministrare i vaccini a Rna agli anziani e riservare AstraZeneca, almeno inizialmente, alla popolazione più giovane.
Questo cosa ha comportato?
Ha comportato una modifica dei piani previsti, anticipando la possibilità di vaccinazione per alcune categorie, quelle dei lavoratori essenziali come le forze dell’ordine, gli insegnanti, il personale sanitario. Questo ha creato qualche difficoltà, ma il limite principale è rappresentato dalla disponibilità delle dosi. Nel caso della Lombardia a complicare il tutto c’è stato anche il caos delle convocazioni tramite sms, che non sono state gestite in modo efficiente. Diciamo però che in questi primi tre mesi in Lombardia e in tutta Italia si è dovuto far fronte a un numero di dosi non elevatissime e si è vaccinato in base a quante dosi erano disponibili.
A proposito di AstraZeneca, pesa la sfiducia di molte persone che si rifiutano di fare questo vaccino?
Ci sono alcune persone che nutrono un po’ di timore. Non è un numero così elevato da pesare sulla campagna vaccinale, infatti la maggior parte ha aderito anche ad AstraZeneca. Vedremo nelle prossime settimane cosa succederà. È in corso di valutazione da parte dell’Ema la possibilità che questo vaccino presenti un rischio aumentato di eventi come la formazione di coaguli nel sangue estremamente rari, che appaiono con una frequenza che sembra leggermente superiore in chi è vaccinato rispetto alla popolazione generale.
Come si spiegano questi casi?
Sono eventi comunque molto rari, eventi che normalmente hanno una frequenza di comparsa pari a un caso su un milione, anche meno. Tra le persone vaccinate c’è una frequenza leggermente superiore, non sappiamo ancora quanto, si parla di 2-3 casi su un milione. Entro fine settimana avremo informazioni maggiori, verrà valutato se modificare l’età delle persone a cui somministrare il vaccino AstraZeneca.
Ritiene comprensibile la paura delle persone?
C’è qualche timore per certi versi comprensibile davanti alle notizie che si sentono, è naturale ci sia un po’ di paura, bisogna però considerare che la persona che si ammala di Covid ha maggiori probabilità di subire danni patologici gravi di quanto si possano avere con la vaccinazione.
I dati della campagna vaccinale ci dicono che siamo in ritardo di 2,5 milioni di immunizzati rispetto al piano previsto. Questo significa che il raggiungimento dell’immunità di gregge si sposterà in avanti? E di quanto?
In realtà, non sappiamo se si potrà parlare di raggiungere l’immunità perché ci sono ancora alcune incertezze.
Quali?
Ad esempio, quale sia la soglia necessaria per raggiungere l’immunità. La cosa più importante nel breve periodo è garantire la copertura vaccinale alla popolazione più vulnerabile, cioè gli anziani e chi ha patologie croniche. Una volta raggiunto questo obiettivo, sarà compiuto un passo molto importante. Poi bisognerà accelerare il più possibile la vaccinazione nella speranza che le incertezze che oggi abbiamo siano minori e che la vaccinazione di massa possa rallentare la circolazione del virus.
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