Nonostante l’uso di mascherine e vaccini anti Covid, in un ospedale in Israele lo scorso luglio è nato un focolaio, secondo quanto raccontato in uno studio pubblicato su Eurosurveillance, la rivista europea sulla sorveglianza, l’epidemiologia , la prevenzione e il controllo delle malattie infettive. Al Meir Medical Center, un anziano paziente in dialisi è entrato senza aver effettuato il test Covid risultando poi positivo e contagiando 41 persone tra pazienti, personale ospedaliero e familiari: 39 dei contagiati erano completamente vaccinati da più di cinque mesi. Il vaccino ha però limitato i danni, visto che a soffrire di più sono stati i pazienti anziani, ospedalizzati e con malattie pregresse mentre medici e infermieri, più giovani, sono rimasti per lo più asintomatici.



Lo studio spiega che l’infezione è partita da un paziente in emodialisi completamente vaccinato di 70 anni ricoverato a metà luglio con febbre e tosse insieme ad altri tre pazienti nella stessa stanza. L’uomo non è stato testato per il Covid perché i suoi sintomi sono stati scambiati per una possibile infezione al flusso sanguigno. Quattro giorni dopo il ricovero, al paziente è stato però diagnosticato il Covid. Subito dopo anche i suoi tre compagni di stanza sono risultati positivi e tutti sono stati trasferiti nel reparto Covid. Successivamente ci sono stati altri 27 casi di positività: in tutto 16 pazienti, nove operatori sanitari e due familiari.



Focolaio ospedale Israele: “5 morti ma con patologie”

Nel caso dei pazienti contagiati in ospedale in Israele che hanno causato un focolaio nonostante mascherine e vaccino, l’età media era 55 anni e dalla fine del ciclo vaccinale all’infezione erano trascorsi tra i 5 e i 6 mesi. Tutto il personale sanitario è rimasto asintomatico o con malattia lieve. Tra i pazienti di età media 77 anni, otto si sono ammalati gravemente, mentre cinque erano in condizioni critiche perché fragili e con patologie e sono morti. «Nonostante la popolazione esposta al virus fosse altamente vaccinata l’infezione si è diffusa molto rapidamente – scrivono gli autori – e molti casi sono diventati sintomatici entro due giorni dall’esposizione, con carica virale elevata. Non possiamo escludere che le misure di protezione non siano state indossate in modo ottimale».



Lo studio si sofferma poi sulla terza dose di vaccino: «I dati provenienti da Israele segnalano che la ragione principale dell’aumento dei casi di Covid-19 in estate può essere attribuito alla diminuzione dell’immunità e una terza dose di vaccino, 5 mesi dopo la seconda dose, potrebbe comportare un’inversione di tendenza in particolare negli individui con fattori di rischio per Covid-19 grave». Nonostante il focolaio, il vaccino ha evitato di peggiorare la situazione ed è comunque bene indossare correttamente le mascherine e utilizzare in modo efficiente i filtri dell’aria: in un ospedale inglese di Cambridge per due settimane i dispositivi sono rimasti accesi e per altre due sono rimasti spenti. Nel reparto generale sono state trovate particelle Sars-CoV-2 quando il filtro era spento, ma non quando era acceso. Sorprendentemente non sono state trovate molte particelle infettive in terapia intensiva, anche con filtro spento. Gli autori spiegano il fenomeno con il fatto che può esserci una replicazione virale più lenta nelle fasi successive della malattia.