Per il dato inflattivo Usa che verrà pubblicato oggi e riferentesi a febbraio 2022 in tendenziale sull’anno, si stima un tasso del 8,1-8,2% con valore minimo non sotto al 7,8%. Il Consensus Bloomberg di operatori di mercato stima invece il 7,9%.

Le cause del fenomeno inflattivo e la sua altezza risentono degli incrementi dei fattori di offerta con in testa il protagonista principale che è il petrolio; tra le altre cose, come da mesi sto illustrando, soprattutto per gli idrocarburi le variazioni sono del tutto esogene e dipendono dal quadro politico e strategico internazionale, con tanti fronti di crisi, con oramai lo scoppio della guerra in Ucraina dal 24 febbraio e lo scontro strategico sottinteso tra Russia e Stati Uniti; fanno da corollario non poco importante tante altre situazioni di contesa, a cominciare dal nuovo protagonismo cinese di tipo molto più finanziario e commerciale, le tensioni instabili del Nord Africa, del Medio Oriente e da ultimo del Sahel.



Bene, le tensioni dei fattori dell’offerta pesano sulla dinamica inflattiva attuale degli Stati uniti per circa il 70-75%, mentre il residuo 25% è dovuto alle turbolenze della domanda. Pertanto, in questo intervento si cercherà di analizzare più da vicino le variazioni di tipo macroeconomico del sistema Stati Uniti, lasciando sullo sfondo l’origine vera dei problemi che risiede in maniera sostanziale nelle problematiche prima accennate con la Russia.



In sostanza, cercheremo di analizzare come variano le diverse componenti dei beni e dei servizi al consumo per tentare di vedere qualcosa di più interessante da valutare; si sa quindi che al momento la componente energetica dei consumi su base annua è aumentata del 27%, del 7% gli alimentari in maniera complessiva, con il 7% dei cereali fino al 12% delle carni, uova, del 32% le vendite di auto usate e nuove, di circa il 4% gli affitti, dell’1-3% i servizi alla persona, mentre le spese mediche divise per categorie tra l’1 e il 2%, così come le spese di trasporto collettivo.

Da questi settori sopra elencati sebbene presentati in modo sommario e aggregato, tramite media aritmetica semplice e non ponderata. si ricava il dato medio del 7,5% circa annuo di inflazione (7,545%). Quello che invece ci interessa è che la varianza della distribuzione sopra riportata è pari a 10,577 (in realtà sarebbe pari a 111, ma qui si utilizza la deviazione standard che è della stessa unità di misura della media, e la chiameremo in modo scorretto “varianza”). La varianza qui presentata ci dice di quanto è imprecisa la media, e cioè che possiamo avere estremi superiori dal 18% in su di variazione incrementativa (aspetto vero), ed estremi inferiori con variazioni dei prezzi pari a zero o addirittura negative (cosa altrettanto vera).



La varianza, perciò, ci dice in modo analitico come i prezzi relativi varino tra di loro e l’intensità stessa di tale variazione; infatti, se l’inflazione fosse pari all’1% complessivo, la varianza (deviazione standard) sarebbe pari a 0,1 % circa, mentre con inflazione al 7,5% arriva al 10,577% circa; cioè, con un incremento di 7,5 volte del tasso inflattivo medio, la varianza a esso attinente aumenta di circa 105 volte. È l’immagine evidente di come la varianza aumenti in maniera esponenziale agli aumenti del tasso inflattivo.

Ma in più chiare lettere cosa vuol dire l’incremento esponenziale della varianza? Vuol dire che il rapporto tra prezzi relativi dei beni e dei servizi si sta modificando in maniera sempre più intensa e problematica. Ad esempio, se noi torniamo ai dati di prima troviamo che l’incremento annuo dei prezzi dell’energia è stato pari al 27%, quindi ben superiore all’inflazione media del 7,5%, mentre gli alimentari hanno avuto incrementi pari al 7%, quindi non solo sotto la media generale, sebbene di poco, ma lontano e di molto dall’incremento dei prezzi energetici. Per recuperare il rapporto che esisteva prima dell’incremento inflattivo, gli alimentari dal 7% di aumento attuale dovrebbero giungere al 27% dei prezzi energetici. Questo è il significato tante volte riportato che l’inflazione quando diventa moderata non può più considerarsi nel breve e medio periodo un fenomeno monetario, ma diventa al contrario un severo problema reale; cambiano cioè i valori delle rendite dei creditori e il peso dei debiti dei debitori a livello finanziario, ma cambiano anche le profittabilità dei singoli settori di impresa e il valore dei redditi dei percettori degli stessi, compresa la declinazione della differenza dei vari redditi: di lavoro, di capitale, industriali, artigiani, pensionistici, finanziari, ecc.

Questo è il perché inflazioni elevate portano a cambiamenti industriali e sociali, e l’intensità e il risultato finale di questo percorso è cosa sempre ardua da gestire e progettare. Detto meglio, l’inflazione importante (valori dal 6-7% in su) fa le riforme economiche e sociali che non fa la classe politica.

Diamo ora un’occhiata al lato della domanda dell’attuale tensione inflazionistica negli Stati Uniti; come riportato da tanti altri analisti, gli stimoli fiscali e la fine sostanziale della pandemia in primis hanno fatto ridestare la domanda di consumi e investimenti, e questo è l’aspetto principale. Invece, in maniera secondaria e indiretta (pari al 6-7% dell’intero fenomeno inflattivo), c’è la componente delle easing policy money che dal 2008 in avanti hanno gonfiato il passivo della Fed. Grande accelerazione di tale massa monetaria da inizi 2020 con la pandemia, e ora fine del tapering a inizi marzo, e anzi inizi di riduzione del passivo Fed da marzo stesso.

Questa componente finanziaria della massa monetaria ha avuto peso indiretto e marginale sull’inflazione, nel senso che coll’innalzare in maniera artificiale i corsi azionari di Wall Street e appiattire in maniera altrettanto artificiale i tassi di interesse della yield curve dell’obbligazionario pubblico e privato, ha portato a una sensibile distorsione della percezione del rischio negli operatori, di fatto azzerandola e dando il là così a eccessi di investimenti che sono diventati vere e proprie bolle speculative: immobiliare, high-tech, criptovalute, ecc.

I possessori di questi asset hanno sperimentato così evidenti effetti ricchezza che l’hanno in seguito scaricata parzialmente sulla domanda complessiva, contribuendo in tal modo al fenomeno inflattivo. Tra le altre cose, si ricorda semmai ce ne fosse bisogno, che si sono già poste le basi di una confusa, incerta e ideologica transizione energetica dagli idrocarburi alle rinnovabili green. Giova ricordare con chiarezza, che al di la del sostegno politico, mediatico e della stragrande maggioranza di tanti ambienti scientifici, le cause del cambiamento climatico e la sua dimensione stessa antropica non hanno la universalità dei definitivi risultati scientifici, quanto la rassicurazione del comportamento previdente e cautelativo di fronte a ipotesi drammatiche e emotive.

È insomma evidente che in tale ordito vasto e nebuloso le variabili che si inseriscono nuove sconosciute e importanti sono indeterminate. Una tra tutte: la fame vera di un miliardo di persone almeno! Poi, la povertà vergognosa di altri 2,5 miliardi di individui.

Messe così le cose, sembra quasi che l’inflazione di questi giorni sia il governante più efficace del pianeta, in quanto al momento è l’unico indicatore che segnala la necessaria crescita attesa dei tassi di interesse; cioè, quando si osserva che il tasso a 10 anni dei Tresaury bill statunitensi sia nell’intervallo del 2% e si evidenzia che tale incremento sia dovuto alla vendita degli investitori istituzionali dato il cambio di aspettative in itinere, al tempo stesso non va dimenticato in maniera più pratica e quotidiana che tali investitori vendono perché è la loro stessa clientela retail che chiede di vendere; ne abbiamo parlato molte volte: gli ingenti accumuli di risparmio sconosciuti per dimensioni dagli anni ’70, e che danno origine a un potente effetto ricchezza che genera domanda di consumi e quindi pressioni inflazionistiche.

A chiusura di questa analisi, rimarco che un anno fa ho iniziato i miei interventi su questa testata con la sottolineatura della necessità di un nuovo accordo geo-strategico tra Stati Uniti e Russia per evitare il caos a livello planetario.

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