I costi dell’energia diminuiscono, quelli delle materie prime anche, ma alla fine i consumatori si ritrovano i prezzi dei generi alimentari ancora aumentati. “C’è qualche industria che sta mettendo a posto i suoi bilanci” dice Giorgio Santambrogio, amministratore delegato del Gruppo VèGé. E che impedisce così di far scendere i prezzi per i clienti finali. Risultato: l’inflazione non scende come era stato previsto un paio di mesi or sono e qualche piccola azienda del settore, alla fine, potrebbe rimetterci l’attività.



Due mesi fa la previsione era che i prezzi del carrello della spesa sarebbero diminuiti tra aprile e maggio. Ora cosa sta succedendo, si stanno abbassando?

No, pensavamo che l’ondata di listini che avevano presentato i fornitori tra novembre, dicembre e gennaio potesse avere una sua decadenza naturale a valle verso il mese di aprile, invece abbiamo avuto un’altra ondata di aumenti nei mesi di febbraio, marzo e aprile, tale per cui noi non siamo in grado di abbassare prezzi.



Cosa non ha funzionato?

La nostra richiesta è stata di capire come mai c’è ancora questa tendenza se moltissime materie prime stanno diminuendo in molte categorie, così come l’energia elettrica, il gas, i noli, il vetro, la plastica, la carta.

C’è in atto una speculazione?

Per talune imprese è come se ci fosse un’inflazione da avidità, che spesso fa capo a delle multinazionali che sono quotate in Borsa. Tale comportamento non permette la diminuzione dei listini.

Qual è la vostra richiesta in merito?

La mia richiesta è di iniziare una generale diminuzione dei listini, ma so che rimane una chimera in quanto nessuna industria tende a diminuirli.



Cosa significa diminuire il listino?

Faccio un esempio, e ovviamente semplifico. Se un fornitore dice “Sono aumentati i costi delle materie prime che compongono il mio prodotto, sono cresciuti i costi di produzione come l’energia, il gas o i costi logistici tipo noli, gasolio, allora caro retailer, debbo chiederti un aumento nominale, ad esempio, del 18%”. Dopo un processo di negoziazione, tale percentuale può sensibilmente diminuire, ma neanche più di tanto. Se poi arriva un nuovo aumento, pur procrastinandolo, va a battere sul prezzo già aumentato. Capite che se, pur in presenza di una maggiore profondità promozionale, noi non riusciamo più a resistere,  qualche punto di inflazione la dobbiamo scaricare, obtorto collo, ai clienti.

La soluzione per rompere questa catena quale può essere?

A mio avviso, al fine di interrompere il circolo vizioso, in primis occorrerebbe che l’industria iniziasse a diminuire i listini, aumentare la profondità “promo”. Poi occorrerebbe ottimizzare ulteriormente la filiera, sopratutto logistica, al fine di avere una minimizzazione estrema delle rotture di stock.

Questo non sta accadendo?

Non proprio: non vedo diminuzioni di listino, ma piuttosto un aumento delle proposte “promo”, che potrebbero portare a una differenziazione di condizione alla vendita tra le diverse insegne.

Il risultato per il consumatore è che si trova aumenti su quelli che ci sono già stati prima?

Purtroppo è così.

Ma le aziende in questo contesto riescono a mantenere i margini?

Non voglio generalizzare. C’è qualche settore in cui c’è un aumento o una non diminuzione delle materie prime, però a livello generale i costi della produzione sono diminuiti. Non mi permetto quindi di dire che c’è una sorta di speculazione, però diciamo che qualche industria sta mettendo a posto i suoi bilanci.

Ci sono aziende in sofferenza?

Non vi è una situazione drammatica nel settore del retail, ma una marcata diminuzione dei margini tale per cui solo le aziende più solide rimarranno. Le piccole imprese distributive che hanno tanti costi fissi o non sono efficienti o non riescono ad aumentare facendo sviluppo rischiano. L’analisi di Mediobanca ha evidenziato questo rischio e c’è la possibilità che alcune piccole insegne possano saltare.

 

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