Per l’anno in corso ammonta al 6,6% la previsione di Istat sull’inflazione IPCA al netto degli energetici importati. Per il 2024, invece, viene stimato un significativo ridimensionamento fino a quota 2,9%. Mentre, per il biennio 2025-2026, il principale istituto di statistica italiano conta di poter assistere ad una stabilizzazione al 2,0% per entrambi gli anni. Questa è la sintesi che ci viene prospettata attraverso la Comunicazione diffusa martedì scorso.



Guardando a questi dati, e soffermando l’attenzione agli ultimi (rif. 2025/2026), viene specificatamente indicato come «Per il biennio 2025-2026 lo scenario di previsione incorpora una ipotesi tecnica di stabilizzazione del prezzo all’importazione dei beni energetici sui livelli attuali». Pur prendendo atto di questa indicazione, anticipare, oggi, ovvero di oltre tre anni, quello che porrebbe essere (rif. la previsione) appare alquanto impensabile: ancor più se, alla base, viene impiegata una ipotesi tecnica di «stabilizzazione del prezzo» su «livelli attuali». Ovviamente comprendiamo la ratio in ambito teorico-previsionale, ma, oggettivamente (rif. la pratica), questo futuribile scenario appare eccessivamente aleatorio. Pertanto, almeno chi scrive esclude volutamente una valutazione in merito a questo idealizzato biennio 2025-2026.



Focalizzando, invece, il nostro sguardo sui valori più vicini ai giorni nostri (rif. 2023/2024), è importante osservare come la loro entità sia prossima all’attuale realtà quotidiana così come alle numerose stime diffuse da altri illustri osservatori internazionali.

È doverosa una premessa: come riportato nella Nota metodologica redatta da Istat, l’indicatore dei prezzi al consumo al netto dei prodotti energetici importati (IPCA-NEI) «non rientra tra quelli diffusi mensilmente dall’Istat con riferimento ai prezzi al consumo, mentre è disponibile l’indice IPCA al netto della componente energetica (IPCA-EN)». Pertanto, a seguito di questa obbligata specifica, i valori di questo indicatore sono verosimilmente diversi rispetto al più consueto e tradizionale indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC). Una diversità, comunque, non troppo lontana dalle abitudinarie pubblicazioni.



Nonostante questo (eventuale) forzato parallelismo, la rilevanza (e l’impiego) di questo indice è pur sempre significativo poiché, come indicato nella Nota, «l’indicatore dei prezzi al consumo al netto dei prodotti energetici importati (IPCA-NEI) è considerato come riferimento per la contrattazione collettiva dall’Accordo quadro tra le parti sociali per la riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009».

Ora, guardando ai soli numeri, la Comunicazione di Istat presenta indirettamente una sorta di sintesi sulla bontà, e quindi valenza, delle proprie capacità in sede predittiva: nel medesimo documento pubblicato, infatti, sono evidenziate le precedenti stime elaborate (ex ante) con la successiva verifica (ex post) per il periodo 2019-2022. Osservando la tabella di raccordo contenente queste informazioni, ossia gli «scostamenti tra realizzazione e previsione (variazioni e punti percentuali)», le risultanze non appaiono molto confortanti. Purtroppo, questa inefficienza, è già capitata e, noi stessi, su queste pagine avevamo posto l’attenzione ancor prima dell’effettiva debacle. Approfondendo il contenuto pubblicato emerge chiaramente come, fatta eccezione per il modesto scostamento del 2019 dove la previsione era pari allo 0,9% mentre la realizzazione è stata allo 0,8%, gli ulteriori dati hanno registrato un improbabile insuccesso. Nel 2020, alla stima dello 0,4% è seguito, invece, uno 0,7% (quasi il doppio). Nel 2021, al previsto 0,5% ha replicato un finale 0,7%. Infine, nel 2022, alla proiezione di un 4,7% è, purtroppo, giunto un emblematico 6,6% che, di fatto, viene rivisto (riportandolo) anche per quest’anno.

Gli amanti della statistica potrebbero obiettare a questo approfondimento (o verosimile giudizio) poiché basato sul classico senno di poi. Chiariamo subito: il nostro intento è quello di poter riportare all’attenzione di tutti “il fatto” che, soprattutto in tematiche economiche/finanziarie, prevede un implicito margine di errore molto più elevato rispetto ad altre tipologie di analisi. Istat, in veste di primario istituto di statistica nazionale, non ha alcuna colpa: la sua attività verte su variabili (molteplici), incognite (quasi infinite), e risultati incerti (oggetto di valutazione).

Quindi: nessun giudice, nessun giudizio, nessun accusato. Solo numeri, solo valutazioni, solo oggettivamente. Ad altri, invece, l’onere ed eventuale onore, del commento.

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