I dati preliminari del mese di aprile, resi noti dall’Istat, confermano ancora una volta la scomparsa dell’inflazione dall’economia italiana, col nostro Paese che continua a restare sul podio dei Paesi più virtuosi da questo punto di vista nell’intera Euroarea assieme alla Lituania e alla Finlandia.
È interessante ricordare al riguardo la vecchia regola dell’inflazione che era seguita nella fase preparatoria della moneta unica, nel biennio 1997-98: si calcolava il benchmark di riferimento facendo la media aritmetica dei tassi tendenziali dei tre Paesi più virtuosi, in questo caso per i tre appena citati la media è dello 0,67%. A tale valore si aggiungeva un punto e mezzo percentuale e si otteneva il limite entro il quale tutti gli altri Paesi aspiranti dovevano far convergere i loro tassi. Applicando tale regola tutti i Paesi che hanno adottato l’euro dovrebbero aver ricondotto i loro tassi tendenziali entro il 2,17%. E poiché questo è il limite massimo, la media dell’area si dovrebbe collocare agevolmente entro il famoso 2% che è il valore obiettivo, ma sarebbe meglio dire dogma, della Bce.
Nella realtà diversi tra i maggiori Paesi sono sopra questo limite: la Germania e la Francia sono al 2,4%, come l’intera area euro in base alle stime preliminari, l’Olanda al 2,6%, la Spagna e l’Austria al 3,4%, il Belgio addirittura al 4,9%. All’epoca l’Italia sarebbe stata osannata e questi altri Paesi rimproverati per i tassi fuori dal limite di convergenza e invitati ad adottare opportune politiche nazionali di contenimento dell’inflazione. Ma quell’epoca è passata da tempo, ora vi è la moneta unica e la Bce, i cui tassi valgono uniformemente per tutti i Paesi. E lo stesso tasso nominale di riferimento si converte in un tasso reale relativamente contenuto per i Paesi ad alta inflazione e nello stesso in un tasso reale altissimo, più di tre punti e mezzo, in un Paese come il nostro in cui l’inflazione è ben al di sotto del suo livello fisiologico. Pertanto i Paesi più virtuosi dal lato dell’inflazione sono ora i più penalizzati mentre i meno virtuosi sono i più favoriti.
Ma veniamo ai positivi dati italiani. Nel mese che si è appena concluso l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), che a differenza di quello europeo armonizzato include i tabacchi, risulta cresciuto dello 0,2% rispetto a marzo e dello 0,9% rispetto al mese di aprile dello scorso anno. Poiché allora la crescita congiunturale fu doppia, la riduzione di velocità si è riflessa nel tasso tendenziale che è appunto ridotto allo 0,9% dall’1,2% del mese precedente.
Come nei mesi precedenti il dato generale deriva da dinamiche piuttosto differenziate tra i singoli comparti:
– i beni energetici sono diminuiti del 2,4% nel mese e del 12% nell’ultimo anno, con dinamiche differenti tra i regolamentati (-13,8%) e quelli a prezzo libero (-10,3%);
– gli alimentari sono cresciuti del 2,6% negli ultimi dodici mesi, con tendenziale in attenuazione rispetto al 2,7% di marzo;
– i beni non alimentari e non energetici sono invece cresciuti solo dello 0,8% nell’ultimo anno, anche in questo caso con tendenziale in attenuazione rispetto all’1% di marzo;
– infine i servizi, che rappresentano da soli il 43% del paniere dei consumi, hanno registrato un tendenziale del 2,9%, anche in questo caso in diminuzione rispetto al 3% del mese precedente.
Tra i servizi il valore più alto è quello dei servizi ricettivi e di ristorazione, con il 4,4%. Che sia conseguenza di una maggiore domanda da parte degli italiani? Si dubita tuttavia che abbiano più tempo libero e più reddito a disposizione, dunque potrebbe essere in realtà l’effetto di una maggiore domanda di turismo estero, in netta ripresa dopo la lunga stagione buia del Covid.
Su base annua la dinamica dei prezzi del “carrello della spesa” ha continuato a ridursi anche ad aprile, attestandosi al 2,4% dal 2,6% precedente, mentre l’inflazione di fondo, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, è scesa dal 2,3% al 2,2%. Infine, l’inflazione acquisita per il 2024 è pari allo 0,6% per l’indice generale e all’1,7% per la componente di fondo.
A questo punto restiamo in attesa, più che dei prossimi dati sui prezzi, delle prossime decisioni, o non decisioni, sui tassi Bce. Si convincerà il board che l’inflazione è acqua passata? Oppure andrà ancora a spigolare tra i settori per cercare argomenti al fine di continuare a tenere i tassi così eccezionalmente elevati?
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