Nel pomeriggio di giovedì il dipartimento del labour of statics degli Stati Uniti ha diffuso il dato dell’inflazione tendenziale su base annua, risultato essere del 7,5% per il paniere complessivo dei beni e dei servizi al consumo e pari al 6% per la componente core. Il consensus Bloomberg degli operatori di mercato stimava il 7,3% per il dato complessivo e il 5,8% per quello core; mentre le stime da me condotte sono risultate in eccesso di un minimo 0,1%, avendo predetto il 7,6%-7,7% con valore minimo di intervallo del 7,2%.
Siamo pertanto entrati in pieno nel range teorico di un’inflazione moderata e tale entrata si vede anche dal rendimento dei T-bond Usa a 10 anni che hanno superato il 2% effettivo nominale. E pensare che tale dato presenta ancora l’aberrazione di un 5,5% negativo effettivo di rendimento dopo che viene corretto dall’inflazione tendenziale riportata sopra!
Allo stesso tempo, con un’angolazione un po’ ellittica rispetto all’inflazione in sé, voglio far notare che quando è stato pubblicato il dato inflattivo di ottobre 2021, risultato pari al 6,2%, la quotazione dell’oncia d’oro è giunta a 1.878 dollari circa, mentre alle ore 19:00 di questa giornata epocale del 10 febbraio è intorno ai 1835-1840 dollari; dunque, cosa vuol dire questo dato nonché fatto?
Premesso che in materia di oro esistono teorie a bizzeffe, io non posso che illustrare la mia, e parto da una constatazione statica e comparata; cioè se noi facciamo la proporzione tra il valore dell’oro e dell’inflazione a ottobre 2021 e la applichiamo ai dati odierni, viene fuori che per rispettare tale proporzione l’oncia d’oro dovrebbe avere il valore di 2.225 dollari! Questa elaborazione è impressionante. perché tocca trovare un minimo di spiegazione del perché non solo non è verificata, ma nemmeno lontanamente rispettata. Lo ribadisco, quindi, io darò la mia.
In sostanza, al posto delle easing policy money che terminano a inizio marzo con la fine del tapering, e anzi oramai questione certa con la riduzione del tutto opposta del bilancio della Fed e con l’aggiunta di stime sul rialzo tassi dei federal funds che nel solo 2022 hanno oramai al momento come target superiore anche il 2%, gli operatori di Wall Street e di conseguenza con influenza su tutte le piazze finanziarie, stanno cercando “disperatamente” di far veicolare l’oro come moneta sostitutiva del dollaro, e in parte al momento ci stanno riuscendo con grandi acquisizioni di posizioni short sui mercati soprattutto forward per tenere il prezzo giù quanto più possibile del metallo prezioso e così finanziare posizioni scoperte e inizi di grosse perdite.
L’unica differenza però col dollaro è che il mercato dell’oro a breve pretende i pagamenti di questi servizi di finanziamento, lucrando i detentori a lungo e permanenti, di guadagni sovra performanti; detto meglio, quando e con sempre maggiore intensità ci saranno perdite dell’azionariato e fuga dai bond governativi,tanto più la leva dell’oro diventerà costosa. Ecco perché l’oro oggi è di 400 dollari l’oncia sotto il suo fair value (almeno per chi scrive), e oramai tanto più si incrementa questo differenziale potenziale tanto più aumentano i rischi che le valvole di tenuta del sistema non reggano alla pressione.
Bene, la pressione in questione è l’inflazione che oramai ha presentato il suo volto vero: pericolosa e ancora in rialzo; perché, un altro aspetto che cambia in maniera severa col dato odierno è che l’inflazione effettiva dal 10 di febbraio in avanti e fino alla fine del mese è già opportuna valutarla all’8%; detto ancora meglio, un mondo inflattivo diventa sempre più turbolento e periglioso perché una delle ambientazioni che cambia è la passata fissità delle scenografie; al contrario più l’inflazione si alza e più le situazioni presenti non sono più reali. In termini operativi con i dati odierni degli Stati Uniti, l’inflazione si può solo combattere con la stima in crescita fino a due mesi successivi, perché nel momento in cui si prendono le decisioni, essa, l’inflazione, è molto diversa dal periodo scelto per osservarla e intervenire.
Purtroppo, questo è uno dei tanti lati sinistri che compaiono nuovi al crescere continuo dei prezzi. Altri aspetti che cambiano in modo periglioso sono tutti quelli legati all’aumento esponenziale della varianza dell’indice che dà il tasso inflattivo medio; più l’inflazione è alta e più l’indice medio di variazione dei prezzi che la vorrebbe rappresentare diventa impreciso. Il perché è insito nella dinamica dei prezzi relativi che sbanda in modo conclamato e senza direzioni precise e tranquillizzanti.
Un altro aspetto, già tante volte trattato in queste mie disamine è il ruolo del mercato del lavoro; io resto incredulo quando molti economisti e funzionari pubblici ai vertici delle istituzioni finanziarie si dicono tranquillizzati dalla bassa dinamica attuale delle retribuzioni salariali che in tal modo non darebbe il fuoco definitivo a un’inflazione enorme che sfugge al controllo. Ho sempre rimarcato con forza che tale osservazione ed estrapolazione è al momento debole perché negli anni ’70 e ’80 erano sconosciuti i livelli attuali di debito pubblico e anche privato. In pratica, con inflazione in crescita le persone con molto più risparmio accumulato in debito statale sia in assoluto che in proporzione sul reddito e sulla ricchezza, con prezzi in salita reagiscono sia cercando di diminuire consumi non essenzialissimi, ma sia dando mano ai risparmi.
In maniera noiosa, è un altro modo di presentare alle scene la veridicità dell’equivalenza ricardiana: arriverà un momento del tempo in cui il tuo debito deve essere azzerato perché non più sostenibile da una partita a credito che non si è riuscita a creare. Questi sono terreni di aspro scontro politico e sociale, in quanto i keynesiani più ortodossi sostengono che alla fine il sistema si tiene su solo tenendo su la domanda, e per tale via senza crescita robusta, ci devono pensare gli Stati a tenere su la domanda con tutti i mezzi, e quindi col debito finché serve.
Da tale punto di vista l’intera questione diventa più drammatica, difficile impegnativa nel tentativo di darle una soluzione; la numerosità degli aspetti di pro e di contro diventa indeterminata e ingestibile, fino ad arrivare a un’affermazione forte e cristallina: nei nostri moderni Stati occidentali, per renderli il più inclusivi e democratici possibili, abbiamo accumulato debiti mostruosi: in effetti sul totale del pianeta i debiti pubblici delle economie occidentali e avanzate lambiscono 60.000-65.000 miliardi di dollari sui complessivi 83.000 miliardi circa.
Comunque, sono risorse consumate oggi per, nella migliore delle ipotesi, renderle domani, e poi a chi soprattutto? Alle generazioni future e oggi anche ai Paesi del terzo e quarto mondo con le loro risorse. Personalmente, a me la legge di Say non è mai dispiaciuta: a un certo punto del medio periodo è l’offerta che crea la domanda naturale, ma questo assunto è comunque impegnativo e luogo di tinte fosche, soprattutto sociali e politiche.
Bene, l’inflazione che è in innalzamento, da tassi del 7-7,5% in su comincia a scoperchiare vasi di Pandora sempre più ingestibili.
Torniamo ora di nuovo alla correlazione odierna tra alte quantità di risparmio, disoccupazione e crescita salariale e inflazione; l’altro meccanismo perverso che si crea – e già lo si sta osservando – è che con grandi risparmi si crea un grande salario di attesa e quindi è come se le imprese avessero a che fare oggigiorno con un sindacato del tutto peculiare e sui generis: il sindacato del risparmio. Non avendo la totale forza contrattuale, le aziende per assumere devono spingere sempre di più sulla crescita salariale per assumere con inflazione in crescita.
A livello operativo, in questo momento le imprese non solo statunitensi hanno i prezzi di tutti i fattori di offerta in crescita, che non solo aumentano per singole questioni settoriali, ma aumentano anche per l’interdipendenza che si crea col fatto che la crescita di prezzi di un mercato se non bloccata va a influenzare le dinamiche di prezzo di un altro mercato e così via, in sequenza indefinita e non lineare.
Chiudo, anche per questioni di impostazioni col fattore che io reputo il protagonista indiscusso di tutta la tensione inflattiva e cioè il petrolio; da dinamiche dirette ed esogene di questo mercato, l’onda d’urto si trasferisce in ogni settore e in ogni altro dove. Poi, questi stessi mercati altri con i loro aumenti tendono in modo perverso a influenzare di nuovo il petrolio, e così la baraonda e la giostra sinistra iniziano con un altro giro.
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