In questo articolo si cercherà di chiarire maggiormente il punto di vista sulle cause dell’attuale inflazione e sul rapporto con le altre classi di assets patrimoniali e finanziari. Il punto di partenza è che il fenomeno inflattivo in atto è dovuto a variazioni di diversi fattori dell’offerta che al momento sono da considerarsi variazioni esogene, sostanzialmente non controllabili; il tutto come sappiamo è nato dall’impatto del Covid-19 nel corso del 2020 che ha abbattuto e scompaginato sia la domanda mondiale che l’offerta.
A questo iniziale disallineamento si sono poi accoppiati in itinere fenomeni particolari come il disordine complessivo sulle catene di forniture globali, visibili in modo plastico nell’ingolfamento dei maggiori porti mondiali e nel singhiozzo delle forniture di tante materie prime e di tanta componentistica avanzata; l’ordine che doveva ritornare più o meno in maniera spontanea sta faticando a farsi vedere, anzi sta iniziando ad avvenire il contrario: si sta assistendo a un incremento delle criticità.
Tali criticità stanno aumentando perché la rottura dell’equilibrio economico globale del 2019 ha portato a rivendicazioni esplicite di carattere geo-strategico a lungo covate, è stata insomma un’opportunità il Covid-19 che è stata sfruttata, e qui in particolare ci si riferisce alla Cina; con un ruolo più nascosto, più enigmatico vi è la Russia che sta implementando invece una sostanziale politica del ricatto, della tensione, il tutto ovviamente finalizzato al minor spreco di risorse per il massimo risultato.
La visione complessiva si ottiene con lo sbandamento dell’azione politica degli Stati Uniti, in difficoltà, quasi con assenza di prospettive e scenari robusti e al tempo stesso flessibili; gli esempi a tal riguardo si sprecano: ritiro condotto in maniera disordinata e inopportuna dall’Afghanistan, la questione Taiwan con la Cina, l’affaire Ucraina con la Russia, e poi a seguire via via dossier minori.
Ora, un punto che si vuol sottolineare subito è che il ruolo e la potenza economica e militare della Cina a parere mio sono “inspiegabilmente” sopravvalutati e non di poco; partiamo dai dati economici. La Cina ha un Pil di 15.300 miliardi di dollari circa con 3.400 miliardi di base monetaria (in dollari americani), deve destinare questo Pil a 1,4 miliardi di persone e per tale verso è un Pil per molta parte ancora con la struttura di una nazione che si deve sviluppare (settori primari e maturi; in proporzione ma anche in maniera assoluta gli resta al momento ancora poco per le esportazioni – sebbene non piccolissime in valore assoluto e pari al 12,4 % del commercio mondiale, cosa che ha fatto inserire da parte dello Fmi, lo yuan nel paniere delle valute di riserva mondiale), ma, lo si ribadisce, a livello di masse finanziarie e di volumi mondiali del commercio di beni e servizi la Cina è ancora ancellare; basti pensare per avere un raffronto che il Pil dell’Occidente (Usa, Ue e Paesi anglofoni) è pari a circa 52.000 miliardi di dollari con una base monetaria di circa18.000 miliardi.
Tali differenze hanno ricadute sensibili sull’influenza e l’impatto degli aggregati finanziari mondiali e sul ruolo e sul peso militare; iniziando da quest’ultimo, checché ne dica l’allarmismo superficiale e stupido di tanta stampa, la Cina è indietro una quindicina di anni in termini quali-quantitativi da Usa e Russia, e questo i cinesi lo sanno benissimo, come benissimo lo sanno americani e russi.
Tutto questo aiuta a capire meglio dell’atteggiamento ondivago di Biden: sembra che cerchi l’accondiscendenza con Xi Jinping quasi come se ne avesse paura ed è invece brusco e rancoroso con Putin; il motivo è che Biden non vuole grane economiche che gli possano derivare da Pechino, infatti in tale contesto la Cina “è utile ed economica oggigiorno” in tanta produzione di settori maturi, mentre non vorrebbe che l’influenza e il potere militare della Russia si accrescano, ed ecco perché è furioso con Putin. Le risorse energetiche e le armi innovative russe mettono in seria difficoltà gli americani e ci sono la paura e il fastidio che la Russia per avere risorse aggiuntive venda sistemi d’armi troppo sofisticati e avanzati a una serie di attori, in primis la Cina, la quale ha molta liquidità delle riserve per poter pagare.
Questo è lo sfondo abbozzato di natura geo-strategica che rende difficoltosa al momento la gestione dei problemi economici mondiali dovuti al disallineamento della domanda e dell’offerta, in quanto i diversi fattori di offerta non rispondono al momento all’ordinata logica del profitto e dello svolgersi del ciclo finanziario.
Qui infatti va fatta un’ulteriore puntualizzazione in disaccordo con tanti interventi che mi è occorso di leggere: la liquidità straordinaria delle Banche centrali occidentali per affrontare l’emergenza Covid non ha nulla a che fare con la comparsa dell’inflazione odierna e anche il suo ruolo in prospettiva è di basso tenore, in quanto in minimissima parte è entrata nell’economia reale prendendo invece la strada della stabilizzazione dei mercati finanziari. I problemi che sorgono con la comparsa di un’inflazione leggera/moderata e non transitoria sono due, dovuti a questa ingente liquidità: gonfiamento oltre il necessario dei valori azionari, quindi bolle speculative e distorsione dei livelli del tasso di interesse un po’ su tutti gli orizzonti temporali.
Tra le altre cose, se anche la yield curve ha la forma al momento desiderata manca del tutto della necessaria inclinazione: troppo piatta in sostanza, ma questo è un problema che origina dall’inizio degli anni 2000 (il problema dell’altezza e della qualità delle crescite dei Prodotti interni lordi).
Altro problema che potrebbe dare l’ingente liquidità presente se comunque l’inflazione cresce, è di distorcere e disturbare con maggiore veemenza la stabilità agognata della velocità di circolazione della moneta. Ma, come detto prima, il problema maggiore di liquidità ingente aggiuntiva senza crescita è il giusto valore dei corsi azionari, dei valori immobiliari, dell’oro e in ultimo delle criptovalute e in particolare Bitcoin.
Questa è l’occasione per analizzare in maniera più accorta il valore di questa criptovaluta; in maniera essenziale per me è un valore di super bolla, e il rientro degli stimoli monetari e la presenza di una inflazione “vera e scomoda” ne certificheranno la rovinosa caduta. Non è inutile ricordare che a febbraio 2020 Bitcoin valeva 4.000 dollari circa e che in coincidenza con l’inizio della easing policy money della Fed è iniziato a crescere, dove poi ha avuto come altro fattore, secondario, di crescita l’azione pubblicitaria e non solo di tanti big della finanza statunitense, il tutto in odore di aggiotaggio sensibile.
Insomma, non tutti sanno che Paypal è stata cofondata dal celeberrimo Elon Musk, che Spectra è di Jack Dorsey di Twitter e così via in un elenco di 6/7 personaggi statunitensi che hanno influenzato e guidato il popolo dei millenials, esaltandoli a una nuova divinità astrologica e immanente: il Bitcoin appunto. I signori di cui prima, l’immane liquidità ricevuta dalla Fed, ma anche dalla Bce hanno pensato bene di non tenerla stanziale e basta, ma si sono industriati a trovare polli da ingozzare e da ingannare: i giovani e il piccolo risparmio mondiale; tale liquidità lo si ricorda ancora serve ed è servita a evitare lo spettro del 1929. Ancora non hanno subito alcuna conseguenza legale per i loro comportamenti.
Terminiamo con l’oro, esordendo col fatto che, a mio parere sia per il ruolo non dichiarato dei poteri forti degli Stati Uniti , sia per il ruolo parziale e più o meno involontario delle criptovalute, al momento quotato intorno al valore medio dei 1.850 dollari l’oncia è del tutto sottovalutato; questo scenario esploderà se l’inflazione non sarà transitoria: che poi questo stesso aggettivo ripetuto e ribadito dai banchieri centrali in maniera del tutto qualitativa e senza specificazioni, sta a poco a poco innervosendo i mercati per la sua vaghezza di un significato inesistente.
Comunque, il valore che gli Stati Uniti nel profondo della loro organizzazione economica e politica geostrategica, desidererebbero per l’oncia d’oro sarebbe 300 dollari, e quindi già ora sono in tensione; l’inflazione ha il potere di portare l’oro a vette di valore pericolose per il dollaro americano.
Chiudo con questo dato: nel 1979 l’inflazione giunse negli Usa al 16% circa annuale, e nel 1980 l’oro toccò il valore di allora di 820 dollari l’oncia circa, corrispondenti a circa 3.250 dollari l’oncia attuali. Questi valori mettono in crisi il ruolo di valuta di riserva globale del dollaro americano.
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