In interventi precedenti si è già trattato della costruzione dell’indice di inflazione dei beni e servizi al consumo, pertanto in questo commento si cercherà di approfondire la tematica. Il tutto nasce dal fatto che l’inflazione, sconosciuta da due decenni circa in Occidente, sta iniziando a fare capolino, con gli Stati Uniti che si trovano al momento più esposti: valori di inflazione leggera superiori di un soffio al 5% da tre mesi in avanti (dato mensile tendenziale sull’anno).



Questi aspetti iniziano così a scatenare uno dei dibattiti senza fine sull’inflazione: le statistiche ufficiali presentano numeri più bassi del fenomeno, mentre nella vita quotidiana si inizia a sentire una morsa più scomoda dei prezzi, tutto questo unito al fatto di sentire rincari di materie prime da due cifre; in aggiunta, sempre dai mezzi di comunicazione, oramai sempre più notoria è la scarsità di tanti semi componenti, primi fra tutti i microchip, e a seguire, in tal modo, lo scompaginamento delle catene di forniture globali dopo l’inizio della pandemia.



Tutte le immagini di sopra, sono il sostrato su cui poi intervengono le aspettative degli operatori, di tutti gli operatori mercato, anche dei consumatori, le quali sono il meccanismo su cui si basa la formazione dei prezzi, o per meglio dire uno dei più importanti.

Da questa premessa, è evidente il problema di fondo e cioè: quale aumento di prezzi posso implementare come impresa, oppure quale meccanismo per difendere il livello di consumi come consumatore, e quello del risparmio come risparmiatore, se non quello derivante dal fatto di sapere di come e quanto sono aumentati tutti i prezzi? Questo è il problema centrale della costruzione di un indice inflattivo, e cioè costruire quell’indice che misuri in maniera efficace l’aumentato costo della vita, per poi poter iniziare le scelte necessarie.



Già lo si è detto che un indice perfetto e vero non esiste in quanto gli indici inflattivi sono medie ricavate da panieri di beni che dovrebbero individuare il consumo del cittadino medio; il problema viene fuori dalle grosse differenze di situazioni di ogni ordine e grado che esistono nella società, e per tale verso quindi il paniere dei beni rappresentativo è sottoposto alla forza disgregatrice della varianza, la quale è tanto più alta quanto più distanti sono le singole e le cumulate posizioni delle persone dal paniere complessivo.

A questo problema di fondo non può essere data la soluzione definitiva e perfetta, ma ci si può solo muovere in un ottica di second best: dati tanti vincoli insormontabili alla soluzione di un problema, si cerca il risultato migliore in questo insieme più limitato di scelte. Allora, il primo aspetto di cui si tiene conto nella costruzione del paniere rappresentativo dei beni e servizi utilizzati nell’ambito di una nazione è la minimizzazione della varianza; arrivati a un certo punto non è più possibile procedere perché non è possibile eliminare le differenze sociali ed economiche. È immediato il corollario di questo assunto: più diseguali sono le condizioni economiche e sociali, e più la costruzione di un indice di inflazione collettivo al consumo è errata, in quanto non può eliminare l’alta varianza; cosicché da tale punto di vista tende a diventare inutile.

Perciò, la domanda delle domande è questa: quanto oggi per le nostre società occidentali le differenze di reddito, di status, di cultura, di salute pubblica, ecc. influiscono sull’analisi dell’intera società?

La mia personale risposta è la seguente: sebbene ci siano molti problemi di diseguaglianze di reddito, di territori, di culture, di etnie, gli indici inflattivi che si costruiscono sulle due sponde dell’Atlantico settentrionale sono efficaci ed efficienti alla fine dei conti. Quello che è meno efficace e efficiente è l’uso che ne fanno i policy maker, e in testa in questi ultimi tempi è il comportamento della Fed e poi della Bce; io non sono rassicurato del tutto dalle stime che loro fanno in relazione all’inflazione prossima ventura; io credo che sarà un problema più difficile (ancora non si sa esattamente di quanto); ma questo è discorso altro e non riguarda direttamente la costruzione dell’indice di inflazione, e viene così messo da parte in questa analisi.

Torniamo alle problematiche che sorgono dalla costruzione di indici inflattivi efficaci. Uno dei modi per eliminare molta varianza e distorsione è quello di eliminare i beni di lusso, in quanto poca parte della società se li può permettere; tant’è vero questo che se si inserissero beni dil lusso nel calcolo dell’inflazione, essa potrebbe essere addirittura pari a zero, in quanto le logiche dei prezzi per i beni di lusso e anche la loro dimensione non sono quelle della generalità dei consumatori. Ma fatto questo primo lavoro di depurazione, i problemi iniziano

È il classico esempio di scuola del burro e della margarina: è evidente che persone con redditi alti comprino burro e anche di qualità superiore, mentre chi ha redditi bassi deve fare uso di margarina, e pertanto, nel paniere virtuale cosa e in quali quantità va messo? Se ad esempio i prezzi della margarina stanno salendo più della media e il policy maker vuole un peso non proporzionale delle classi sociali nel paniere, ma privilegia il punto di vista delle classi più deboli, viene fuori un valore dell’inflazione ufficiale più alto di quello sperimentato dalla società intera; se invece ci muovessimo nell’ambito di uno scenario con ipotesi diverse a quello di cui prima, l’inflazione ufficiale sarebbe più bassa di quella effettiva.

In linea teorica, lo si ribadisce, il dato esatto puntuale e preciso non esiste, e ci si deve accontentare di medie verificate nel tempo: più le medie nel tempo sono efficaci e più fanno da base all’efficacia di medie future. Qui viene fuori un altro aspetto non simpatico dell’inflazione: più essa è bassa e più i disturbi della varianza diminuiscono in maniera esponenziale; in parole chiare, la varianza di un’inflazione al 5% annuo è circa 4 volte più alta di quella all’1% annuo, mentre l’inflazione al 10% annuo ha una varianza 16-20 volte più alta di quella del 5%. Per tale motivo, inflazioni veramente basse, intorno all’1-2% non solo sono desiderate in sé per la loro bassa intensità, ma anche perché presentando varianze bassissime tendono a diventare precisissime, a differenza di quanto l’inflazione cresce col crescere esponenziale della varianza associata.

Questo è uno dei motivi principali del perché quando l’inflazione inizia a fare capolino sopra il 3% inizia a portare con sé la sua mancanza di precisione e a far sì che nell’opinione pubblica inizino a levarsi voci del tipo: l’inflazione effettiva è più alta di quella ufficiale. Non è così, in quanto la costruzione degli indici inflattivi è, oggigiorno, nelle nostre società molto sofisticata e minuziosa, è al contrario la realtà dei fatti che è troppo complessa per comprimerla una volta per tutte in equazioni matematiche assolute.

Da tale punto di vista, l’affermazione robusta che andrebbe fatta è la seguente: con inflazione che tende a salire dal 3%, l’indice che la misura non è sotto o sovra stimato, quanto molto impreciso e sfocato per il singolo giorno della singola persona. Non c’è modo di provvedere in maniera altra che su un effetto di ritorno macroeconomico: se la costruzione di un indice inflattivo è “compatibile” in maniera statistica per l’intera società, allora l’azione dei policy maker tende a essere compatibile nel tempo con gli indici a disposizione. Insomma, la bontà degli indici la si misura ex post per l’intera collettività e non durante per le singole percezioni individuali, anche se per essere più corretti va detto in modo più onesto per le singole inflazioni individuali.

Tant’è vera quest’ultima affermazione che ognuno di noi potrebbe sperimentarla più o meno erroneamente da sé: la spesa ordinaria che uno fa da un anno all’altro cercando di depurarla da quegli eventi unici che si siano potuti verificare. Questo è il lavoro che fanno gli uffici dell’Istat ad esempio per l’Italia; compito per nulla semplice e immediato.

L’inflazione e tutto ciò che la correda resta uno dei campi più affascinanti della ricerca macroeconomica, anche a motivo della sua irriducibilità perfetta alle formule che la vogliono ingabbiare, dato che essa (l’inflazione, il suo livello) in ultima analisi è il respiro dell’intero corpo sociale.

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