Nel pomeriggio del 10 novembre sono stati pubblicati i dati relativi all’inflazione generale e core dei beni al consumo degli Stati Uniti, e riferentesi a ottobre 2021 in tendenziale sull’anno. Abbiamo pertanto 4,6% per l’inflazione core e 6,2 % per quella complessiva del paniere dei beni; il consensus di Wall Sreet aveva come aspettativa il 5,8% per l’inflazione complessiva e il 4,3% per quella core. Invece, chi scrive aveva previsto il 6,1%-6,0% con intervallo minimo al 5,7% avendo così una lieve sottostima pari allo 0,1%.
Comunque, quello che si impone è il dato in se stesso: 6,2% , valore che tocca arrivare al 1990 per ritrovare; sebbene in teoria ci troviamo nei valori centrali di un’inflazione ancora leggera, quello che è teoricamente significativo è l’accelerazione all’insù dei valori, che dato anche l’inizio della stagione autunnale e invernale, fornisce ulteriore terreno fertile per il propagarsi inflattivo.
Lasciando a fine mese l’intervento maggiormente preciso per la stima dell’inflazione a novembre negli Stati Uniti, già da ora si però mi sento di affermare con sicurezza che non saremo sotto il 6,5% di tasso inflattivo, e per le ipotesi che attendo avere conferma nel corso del mese mi aspetto con facilità un tasso del 7,1%-7,2%, con intervallo minimo non inferiore al 6,8%. Ripeto da elaborare ed eventualmente confermare verso la fine del mese.
Gli aspetti da rimarcare di quanto sta accadendo sono molti e tutti importanti, anche se tra loro distanti, e per tale motivo che nel prosieguo di questa prolusione più che a un vero e proprio sviluppo di temi mi affiderò a immagini che emotivamente anche mi colpiscono.
Ad esempio, ricordo che tempo fa, circa 6-7 mesi, un amministratore di un grande fondo di investimento affermò qualcosa che poi secondo me è andato sotto traccia nell’informazione mainstream; affermò che le nostre attuali economie finanziarie, a dirsi meglio il nostro attuale sistema finanziario mondiale, non è progettato o compatibile con inflazioni superiori al 4% annuo se presenti per durate superiori all’anno mezzo e pari a circa due.
In sostanza, c’è una tale massa di patrimoni e quindi anche debiti gestiti (parliamo degli assets privati), che variazioni piccole in teoria – tasso inflattivo dal 2 % al 4% – generano un tale volume di flussi da mettere a repentaglio l’insieme del sistema. Se volete l’immagine efficace è quella di una diga che ha una piccola falla, se il bacino di contenimento è enorme, questa piccola falla riverserà a valle il diluvio. Questo è uno dei motivi per cui quando già l’inflazione era giunta a maggio intorno al 4,5% tendenziale (parliamo sempre degli Stati Uniti) avrebbe dovuto far scomparire dall’eloquio pubblico la parola “transitoria”.
Qui c’è un profondo raccordo alla moderna teoria macroeconomica di natura quantitativa (modelli matematici e statistici non lineari), e cioè che mentre fino al 1970 circa le soluzioni matematiche di equilibrio erano basate solamente sui flussi delle grandezze, a partire da quella data con la teoria delle aspettative e dell’approccio di portafoglio i moderni schemi macroeconomici si basano sullo stock-flow approach, a dirsi cioè che le interrelazioni coinvolgono i fondi dei valori e i flussi del reddito, date le loro dimensioni giganti. È un ulteriore aspetto del perché nell’analisi delle aspettative di medio periodo che potrebbero autoalimentare il percorso inflazionistico appena destatosi è rischioso e inutile concentrasi sulle dinamiche dei flussi salariali fini a se stesse, se al tempo stesso non si ha presente l’enorme mole di risparmi privati e debiti pubblici e privati che negli anni ’70 non esistevano nelle dimensioni odierne.
Con più chiarezza, a mio parere se un disoccupato attuale (che tra le altre cose riceve sussidi che negli anni Settanta non aveva sostanzialmente) resta tale, può premere sulla domanda di consumi prelevando risorse da risparmi diffusi privati (che sono una delle facce dei debiti pubblici giganteschi di odierna fattezza), mentre, ad esempio – come altra faccia della stessa medaglia – un operatore di fondi borsistici ha parlato di salari di attesa diffusi e generalizzati che sostituiscono i sindacati degli anni ’70 come forza contrattuale; in sostanza, come disoccupato avendo risparmio a disposizione attendo con calma e in posizione di forza l’offerta lavorativa dell’impresa, che trovandosi di fronte a tali contesti dovrà mettere mano agli incrementi salariali, ripetendo in modalità differenti e con attori differenti, gli incrementi degli anni ’70. Tra le altre cose nel report inflattivo del 10 novembre, gli incrementi salariali vengono conteggiati a un tasso in aumento del 3,7% circa medio.
Ma andiamo avanti per suggestioni sparse ma emotivamente forti: la Segretaria al Tesoro americano Janet Yellen, ancora afferma della “transitorietà” del fenomeno inflattivo, in quanto nell’agenda di medio termine del Presidente Biden non ci sono politiche inflattive, quindi la stessa e melensa retorica del rientro a breve dei valori: seconda metà/fine del 2022.
Mi sento di ribattere con una splendida immagine che viene dalla letteratura, e nello specifico da un brano delle “città invisibili” di Italo Calvino: Marco Polo parla al Kublai Khan Cinese della bellezza, della forza e dell’uso dell’arco di volta nella costruzione dei palazzi, delle abitazioni, dei ponti e conclude rivolgendosi all’imperatore cinese spiegando che la forza e il segreto di questa architettura prodigiosa sta nella sua forma: la forma dell’arco è energia che tiene insieme la materia bruta. Al che, l’imperatore cinese risponde a Marco Polo che senza le singole pietre l’arco non esiste. Torniamo perciò con questo ammonimento favoloso a illuminare le parole della Yellen: puoi parlare in modo strepitoso e favoloso della forma dell’arco (il medio periodo), ma se le pietre (il breve periodo, i singoli giorni del presente che si dipanano) non ci sono, l’arco nei fatti non esiste. Cioè, un’inflazione che comincia a crescere in modo preoccupante oggi è in grado di distruggere qualsiasi domani che attendiamo rigoglioso (tra le altre cose, mi sembra che lo stesso tenore abbia l’ammonimento che il consiglio economico del Governo tedesco abbia lanciato alla Bce).
Ma l’immagine più violenta a mio parere è la seguente: a febbraio 2020 il Dow Jones quotava circa 28.000 punti e al momento attuale quota 36.000 circa, senza che nel frattempo ci sia stato un incremento assoluto del Pil reale, dato che le crescite e gli utili mirabolanti da febbraio 2020 a questa parte non hanno ancora recuperato il Pil perduto per la pandemia. Com’è possibile allora che sia cresciuto e in maniera così smaccata il Dow Jones?
Diamo pertanto un’occhiata al bilancio della Fed che grazie alla easing policy money ha fatto aumentare il suo passivo, cioè l’incremento di base monetaria, da circa 4.800 miliardi a circa 7.500 miliardi di dollari; non c’è che dire, gli incrementi sono di fatto paralleli e concomitanti tra di loro, a dirsi correlati.
Si capisce ora che se tra economia reale e sistema finanziario non si ritorna a un equilibrio dei numeri devono necessariamente prendere campo i disequilibri (c’è molto della bellissima teoria dell’assorbimento monetario in quest’ultima affermazione). Detto meglio, se le autorità monetarie da loro non tolgono la liquidità in eccesso dai mercati, tale eccesso verrà tolto dal sistema dei prezzi: inflazione.
Tocca ricordare con molta attenzione il perché di queste politiche di alleggerimento monetario: lo spettro del 1929, con la caduta rovinosa dei corsi azionari, all’incirca del 50% in media per tutta Wall Street. Però, una cosa è non far sprofondare il Dow Jones sotto i 28.000 punti, altra cosa è trovarselo a 36.000 senza crescita; questi numeri sono possibili solo alle lotterie non per l’economia. È un momento non transitorio e anche impegnativo e serio quello che stiamo per iniziare a sperimentare e ci vorrà tempo, dedizione e pazienza da parte di tutti.
Comunque,la conclusione più dignitosa di questo intervento la affiderei alle parole del cittadino medio che abita ogni luogo della terra (noi se in tale fatta è possibile presentarci): questa dell’inflazione non ci voleva… non ci voleva proprio!
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